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Roberto Madonna, sempre un passo avanti

Chi era Roberto Madonna, nel ricordo di chi lo ha conosciuto, ha lavorato con lui e ne ha apprezzato la grande umanità
roberto madonna

GROSSETO. «Roberto era sempre un passo avanti, non era solo un uomo di grandissima intelligenza, ma aveva la visione, sapeva guardare oltre in tutte le cose. Un maestro». Con la voce rotta dalle lacrime, una collega dell’ospedale Misericordia ha definito così l’uomo e il professionista Roberto Madonna, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di oggi, 10 febbraio. Una delle figure più importanti e tra quelle che hanno dato l’impronta più incisiva alla sanità grossetana degli ultimi 30 anni.

Era nato a Lama dei Peligni, un paesino in provincia di Chieti noto come il paese dei camosci, arroccato sulle montagne nel parco nazionale della Majella. Poi il liceo e l’università a Roma, la laurea e nel 1978 l’arrivo a Grosseto, dopo una breve parentesi a Siena. E qui si è fermato, innamorato di questa terra e della sua gente.

«Madonna di nome e di fatto» si diceva di lui, scherzando e senza voler offendere la sensibilità religiosa di nessuno, pensando alle vite che ha salvato nella sua lunga carriera, grazie alla competenza, alla capacità e alla indiscussa professionalità. Eppure, come ripeteva spesso, con lo sguardo rivolto verso il basso e una nota di tristezza nella voce, «mi ricordo una per una tutte le persone che non sono riuscito a salvare, ma non le altre». Poi faceva una risata e passava ad altro.

In quella frase c’era tutta l’umanità del medico anestesista e rianimatore, quello che più di ogni altro guarda in faccia la morte. L’umanità, ma anche l’ironia, la capacità di non prendersi troppo sul serio, unite alla conoscenza, la competenza, talvolta l’umiltà di chi sa che c’è sempre da imparare e migliorarsi.

Difficile trovare qualcuno che non lo abbia apprezzato, pur con il suo carattere non facile, spigoloso, deciso, talvolta ruvido, «da abruzzese di campagna», diceva di sé Madonna. Era facile scontrarcisi, ma sapeva farsi voler bene. Aveva la capacità di fare squadra, tenere unito il gruppo dei suoi medici e infermieri, che oggi lo piangono, orfani della sua figura, ma ricchi dei suoi insegnamenti. È sempre riuscito a motivarli anche nei momenti più duri e difficili. E ce ne sono stati molti. Anche dopo il pensionamento, nel 2014, è rimasto molto legato e vicino al suo gruppo e non solo a loro.

Curioso, eclettico, fine conoscitore della storia locale, sceneggiatore e regista per un gruppo teatrale in cui aveva coinvolto non pochi professionisti, tra medici e infermieri dell’ospedale di Grosseto, esperto di storia della Chiesa, amante della buona compagnia e del buon cibo, diceva che alla Maremma doveva tutto.

E tutta la Maremma oggi lo piange.

 

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