GROSSETO. L’asta è di fine settembre, l’aggiudicazione dell’inizio di ottobre. MaremmaOggi lo ha scritto il 2 di ottobre, peraltro spiegando cosa accadrà in quell’area. Adesso alcune associazioni ambientaliste lanciano l’allarme per una fetta della Diaccia Botrona che, dalla Provincia, è passata nelle mani del gruppo umbro Farchioni.
Sono 49 lotti per un totale di 950 ettari, di cui 200 nella Diaccia Botrona. Tanto che lo stesso Pompeo Farchioni, presidente del colosso che produce olio, farina, vino e birra (a marchio Mastri Birrai Umbri) ha già chiarito che: «Dei 950 ettari 200 sono di acquitrinio naturale dove ancora non sappiamo cosa sarà possibile fare, magari un parco faunistico, ne parleremo con le istituzioni del luogo, con le quali vogliamo collaborare in tutto».
In ogni caso giusto vigilare. Per questo le associazioni ambientaliste hanno lanciato una petizione online. Si tratta di associazione WWF Provincia di Grosseto, GOM – Gruppo Ornitologico Maremmano “A. Ademollo” e associazione CERM Centro Rapaci Minacciati.
Questo il testo della petizione: «Nei giorni scorsi, abbiamo appreso la grave notizia che, in un’asta pubblica indetta dalla Provincia di Grosseto, sono stati aggiudicati ad un privato 950 ettari di terreni situati nel Comune di Grosseto, nell’area del Padule Aperto, ricadenti in parte nella riserva naturale Diaccia Botrona. Tale zona è un’area di grandissima importanza internazionale per lo svernamento dell’oca selvatica (700-800 esemplari), della gru (600 esemplari negli ultimi anni) e di caradriformi come la pavoncella o il piviere dorato; vi sono inoltre state osservate specie di particolare importanza dal punto di vista conservazionistico, come il lanario, il falco sacro e, addirittura, una gallina prataiola e un’aquila imperiale».
«L’operazione ha suscitato la nostra preoccupazione. Infatti, se una cessione di beni pubblici poteva avere una ragione quando l’obiettivo principale della politica economica europea e nazionale era quello della riduzione del debito pubblico, oggi sarebbe molto più opportuno utilizzare la proprietà pubblica per il raggiungimento di obiettivi diversi, come quelli previsti dalla strategia della Ue per la biodiversità per il 2030. Poiché in tale documento della Ue si parla anche di “rinaturalizzazioni”, diventa paradossale che si rischi una trasformazione di ambienti che “naturali” già lo sono, per effetto della loro privatizzazione».
«Chiediamo pertanto che, non essendosi ancora formalizzato il trasferimento di proprietà ed essendo previste nello stesso bando forme di prelazione, la proprietà dell’area resti pubblica. In caso contrario, verrebbe mano una visione unitaria nella gestione della riserva, come invece previsto dalla delibera n. 73 della giunta provinciale del 24/05/2006. Anche per le aree non ricomprese nella riserva natuale e oggetto di attività agricola, riteniamo che l’unica attività compatibile con l’ambiente sia la coltivazione estensiva di cereali e piante erbacee. Un loro utilizzo diverso dall’attuale andrebbe a vanificare alcuni dei risultati conseguiti nel tempo, anche grazie all’ampliamento dell’area a divieto di caccia in vigore ormai da dieci anni».
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