MASSA MARITTIMA. Sono passati vent’anni dalla scomparsa di don Sebastiano Leone. Ma il suo ricordo è ancora vivo nel cuore di chi, con il parroco che si era messo al servizio degli ultimi, ha cercato di aiutare chi non poteva permettersi nulla.
Daniele Gasperi, Franco Tosi e Luciano Fedeli hanno preso carta e penna e hanno scritto al sindaco Marcello Giuntini, per chiedergli di intitolare una via a don Sebastiano, a vent’anni dalla sua morte.
Il parroco al servizio degli ultimi
Sono proprio Gasperi, Tosi e Fedeli a raccontare a chi non l’ha conosciuto, don Sebastiano. Giovedì 31 agosto infatti, saranno passati vent’anni dalla sua morte. nato a Grosseto nel 1958 e ordinato parroco nel 1986 dal vescovo Lorenzo Vivaldo, ha accolto persone di varie estrazioni e appartenenze, sotto l’egida della solidarietà e dell’impegno sociale.
«Giusto ricordare il suo impegno profuso anche a Valpiana con esperienze che tutt’oggi stanno producendo i loro effetti sul territorio – scrivono – e che a loro volta hanno innescato dinamiche che hanno raccolto molte adesioni: dalle attività di volontariato del Gruppo Heos al “Progetto Parchi” con il quale si reinserivano soggetti a rischio di emarginazione in attività produttive e di pubblica utilità».
Don Sebastiano Leone è stato una personalità molto amata anche a Massa Marittima sebbene la sua attività sia stata svolta dal 1987 prevalentemente su Follonica ma il suo costante impegno a favore dei giovani, degli immigrati, dei tossicodipendenti, dei detenuti e delle fasce più deboli della popolazione lo ha distinto.
L’impegno per i detenuti
Giusto ricordare il suo impegno a favore dei detenuti nella struttura a trattamento avanzato di Massa Marittima che lo vide protagonista di un progetto pilota a livello regionale incentrato proprio sulla riabilitazione e reinserimento dei detenuti nel contesto sociale.
«Uno dei progetti, probabilmente l’ultimo della sua vita – scrivono i promotori dell’intitolazione – riguardava la realizzazione di appartamenti ed attività sociali volte anche al recupero di persone svantaggiate su Valpiana. Non ce l’ha fatta, è morto portato via da un male terribile il 31 agosto 2003. Don Sebastiano credeva profondamente nell’accoglienza di tutti, senza distinzione, a partire dai soggetti più emarginati ed esclusi».
Sono queste le motivazioni per le quali Gasperi, Tosi e Fedeli hanno deciso di scrivere al primo cittadino. «Per ricordarlo e lanciare un messaggio che rilanci, in questo difficile momento di crisi dei valori – scrivono – la cultura dell’accoglienza, dell’inclusione finalizzate al reinserimento sociale e al recupero della dignità della vita come diritto della persona».
Il ricordo commosso dell’ex assessore comunista
Lo chiamo così, senza l’appellativo del don, perché l’ho sempre chiamato così. Da quando ci frequentavamo nelle partite di calcio della domenica al Rifugio Sant’Anna sino agli ultimi tempi in cui la vita ci aveva fatto ritrovare ancora.
Giocavamo a pallone, io non ero una cima ma lui giocava peggio di me e negli spogliatoi dell’edificio di fronte al refettorio e nelle nostre passeggiate parlavamo di tutto. Io più aperto e aggressivo, lui più pacato e chiuso.
Poi la cresima in Sant’Agostino e la foto ricordo con il Vescovo che io chiesi di fare insieme a lui, ci tenevo perché Sebastiano mi piaceva.
La vita alcune volte separa i nostri percorsi, anche perché io non sarei stato adatto e non avrei mai potuto fare il sacerdote. Per anni ci siamo solo incontrati e in molte delle occasioni il saluto non era solo uno ciao o una semplice stretta di mano distratta, ma lo scambio di parole e brevi commenti su cosa vedevamo intorno a noi.
La vita ci fa sembrare lontani nei percorsi del crescere, ci divide nelle strade, ma quando la casualità ci fa ritrovare ancora allora riesci a capire il perché ti piaceva una persona. Nel mio caso ho capito perché mi piaceva Sebastiano!
Ero da poco stato nominato assessore in comune ed una mattina me lo trovo davanti e mi dice “Luca mi ha mandato a parlare con te, ho un problema”.
Entrammo nella sala giunta e lì mi raccontò che si occupava dei poveri della Diocesi, dei detenuti, degli ultimi quelli più soli e dimenticati.
Stava a Valpiana, dove faceva il parroco, ed aveva ospitato una famiglia con problemi economici anche se lui stesso era in difficoltà e non ce la faceva più a tirare avanti, gli mancavano soldi e chiedeva un aiuto.
Mi presi l’impegno di vedere di fare qualcosa e lui uscendo mi disse, ricordo benissimo, “Luciano, tornerò da te solo se non farai come tanti altri, solo promesse, altrimenti non ci vedremo più”.
E con Sebastiano invece ci siamo visti altre volte, tante. Con lui abbiamo lavorato per i detenuti del carcere con un progetto pilota in ambito regionale, dialogando e costruendo con cooperative sociali, associazioni di volontariato, cittadini, percorsi concreti ed attivi ancora oggi.
Abbiamo lavorato per altre persone afflitte dai problemi di questo nostro tempo che hanno trovato in lui quella spalla concreta di speranza a sostegno delle loro esistenze per cercare di non precipitare. In molti sono stati salvati.
La malattia che lo debilitava fisicamente non ha mai scalfito il suo spirito, si è dato sino alla fine.
L’ultimo progetto riguardava la realizzazione di appartamenti ed attività sociali volte anche al recupero di persone svantaggiate su Valpiana.
Non ce l’ha fatta è morto portato via da un male terribile il 31 agosto 2003.
Un prete e un laico, per giunta comunista, che hanno lavorato, anche se per poco, insieme! Cavolo! Il mondo è proprio impazzito, forse uno dei due è comunista senza saperlo vestito da prete o viceversa.
Forse, penso io, non contano nulla l’abito di un prete o i pantaloni di un comunista, quello che conta è ciò che possiamo fare insieme per gli altri e soprattutto quello che concretamente realizziamo per vedere migliorare la loro esistenza e soprattutto per migliorare la nostra.
Luciano Fedeli
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