MONTECRISTO. Sarà che la vediamo dalla costa della Maremma, ergersi maestosa all’orizzonte, triangolo di roccia in mezzo ai tramonti, sarà che è inaccessibile, o quasi, dal 1971, sarà che Dumas ci ha ambientato il suo celebre romanzo, a metà del XIX secolo, sarà che una leggenda narra di un tesoro nascosto nel monastero di San Mamiliano, eretto da monaci eremiti nel V secolo al centro dell’isola, certo è che Montecristo è un’isola attorno alla quale ci sono un fascino e un’attenzione particolari.
Ma se per chi vive sulla costa e sulle altre isole dell’Arcipelago Toscano, Montecristo è la quarta per estensione (circa 10kmq) e seconda per altezza (645 mt del monte della Fortezza), l’isola compare e scompare all’orizzonte avvolta da un alone di mistero, per chi ogni giorno la studia e la tutela, è una tavolozza di colori e di biodiversità, una sorta di isola-laboratorio, uno scrigno di forme di vita che qui hanno il loro rifugio, lontano dalla mano distruttrice dell’uomo.
Qui c’è l’unica capra che vive da sempre allo stato selvatico. Qui c’è la berta minore, uccello ormai rarissimo, tanto che Montecristo ospita il 4% di tutta la popolazione mondiale. Qui ci sono i lecci più antichi del Mediterraneo, piante che superano i 700 anni.
Uno scoglio di granito che emerge dal mare
Distante circa 34 miglia dalla costa, 23,8 dal Giglio, 15,9 da Pianosa e 21,8 dall’Elba, l’isola di Montecristo è un’isola quasi interamente formata da granito e ha una forma conica. Oltre al monte della Fortezza (645 metri) l’altro rilievo è la cima dei Lecci (563 metri).
La costa è scoscesa e molto frastagliata, a sud c’è cala Corfù, un’insenatura molto stretta. Le uniche spiagge sono quelle di cala Santa Maria e di cala Maestra, quest’ultima originatasi nel 1992 per una colata di detriti dall’alto.
La costa rocciosa dell’isola degrada verso profondità marine superiori ai 200 m quasi ovunque. Solo a Cala Maestra e a Cala Mendolina i fondali degradano con dolcezza. Qui ci sono i grandi bivalvi Pinna nobilis, ma anche cavallucci marini e grandi distese di corallo.
I pesci del Mediterraneo qui vivono indisturbati, visto che la navigazione è interdetta fino a un 1000 metri dalla costa e la pesca fino a 3 km dalla costa.
Montecristo Sporting Club? No, riserva naturale
Dopo la seconda guerra Montecristo è gestita dalla società Consorpesca. I diritti di gestione passano nel 1953 alla società romana Oglasa, che nel 1970 progetta di realizzarci il Montecristo Sporting Club, un resort di lusso. Prepara il progetto, realizza la prima oggettistica con il marchio, dai piatti alle cravatte.
Ma il mondo scientifico e l’opinione pubblica si ribellano. Sono gli anni delle prime organizzazioni ambientaliste, anche se in Italia ancora non c’è un ministero specifico (il primo ministro dell’Ambiente arriverà nel 1987, con il socialista Giorgio Ruffolo, anche se il ministero per l’Ecologia fu istituito nel 1985 su specifica iniziativa del Partito Liberale e l’on. Valerio Zanone ne fu il primo incaricato tra il 1985 e il 1986: fu proprio lui ad impostare la legge istitutiva del ministero per l’Ambiente).
Così, con decreto del 4 marzo 1971 per iniziativa dei ministeri dell’Agricoltura e Foreste, delle Finanze e della Marina Mercantile, l’isola diventa “Riserva naturale statale Isola di Montecristo” con la motivazione che «…per i caratteristici paesaggi vegetali è da considerarsi biotopo ed espressione di relitto geobotanico, mentre nei riguardi della fauna, oltre alla rara presenza della capra selvatica (Capra hircus), costituisce un ideale luogo di rifugio e di riposo per la selvaggina migratoria».
La Riserva è affidata alla gestione dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali, Corpo forestale dello Stato, ufficio di Follonica insieme al Parco dell’Arcipelago Toscano: l’accesso alla riserva naturale è consentito «solo per ragioni di studio, per escursioni naturalistiche, per compiti amministrativi e di vigilanza nonché ricostitutivi di equilibri naturali, restando vietata qualsiasi altra attività antropica»-
Montecristo diviene dunque Riserva naturale nel 1971 e nel 1988 la zona di tutela biologica marina, che fino ad allora si estendeva fino a 500 metri dalla costa, viene ampliata fino a comprendere la fascia di mare fino a 1000 metri dalla linea di costa.
Nel 1977 è inclusa nella Rete Europea delle Riserve Biogenetiche. Nel 1988 il Consiglio d’Europa attribuisce alla Riserva il “Diploma Europeo”.
Nel 1996 diventa Parco Nazionale e successivamente Riserva della Biosfera dell’Unesco. Nel 1998 è designata come Zona di Protezione Speciale (ZPS) poi Zona Speciale di Conservazione (ZSC), entrando cosi a far parte della Rete Natura 2000, il principale strumento adottato dall’Unione Europea per la conservazione della biodiversità.
La gestione della Riserva è oggi affidata ai carabinieri, che operano sull’isola attraverso il reparto carabinieri per la biodiversità di Follonica.
La storia e gli insediamenti
I Greci la chiamavano Ocrasia, i Romani Oglasa o Mons Jovis.
Intorno al V secolo Montecristo accolse il vescovo di Palermo Mamiliano ed altri religiosi in fuga dai Vandali di Generico. Con il nuovo nome di Mons Christi l’isola fu sede di una comunità monastica per più di un millennio. Almeno fino al 1553, quando il corsaro Dragut conquistò il monastero.
Dopo un presidio militare inviato da Napoleone all’inizio del XIX secolo, nel 1852 lo scozzese George Watson Taylor acquistò l’isola e trasformò Cala Maestra in un’area verde con giardini terrazzati e specie arboree. Nel 1869 il Regno d’Italia la riscattò e negli anni 1874-1884 vi insediò una colonia penale agricola, succursale di Pianosa.
Nel 1889 l’isola fu data in affitto al marchese Carlo Ginori Lisci, che la trasformò in riserva di caccia, invitandovi ospiti illustri tra i quali il futuro re Vittorio Emanuele III. Dieci anni dopo fu affittata per uso venatorio esclusivo dalla famiglia Savoia, che vi introdusse cinghiali, mufloni e capre del Montenegro.
Sono numerosi gli immobili sull’isola: oltre alla villa Reale di Cala Maestra ci sono la casa dei custodi, l’officina, la casa del bosco, la foresteria, il forno, un silos e il casotto dei pescatori.
Oggi l’isola vede la presenza costante di carabinieri e di un paio di operai forestali, che stazionano sull’isola con turni di quindici giorni. I carabinieri svolgono attività di vigilanza, controllo del territorio, progettazione degli interventi di gestione, collaborano per la realizzazione di progetti di conservazione e di divulgazione ambientale.
Gli operai invece provvedono alla custodia dei beni, alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture, agli interventi di gestione naturalistica della Riserva.
Continua è l’attività di monitoraggio della flora e della fauna collaborando con vari ricercatori.
In 25 date all’anno, gruppi di 75 escursionisti, accompagnati da guide del Parco, visitano questi luoghi rispettando rigorose regole di comportamento.
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Il monastero e il tesoro
Mamiliano e i suoi seguaci eressero col tempo una chiesa e un convento sopra a Cala Maestra. Prima i benedettini, poi i camaldolesi risiedettero sull’isola. Nel 1100 l’isola fu occupata dai Saraceni che distrussero il convento e solo nel 1220 i Pisani ristabilirono il monastero.
I monaci coltivavano l’isola e allevano falchi.
La leggenda del tesoro ha la sua parte di realtà.
Una pergamena camaldolese del 1277 parla di un tesoro sotto l’altare di San Mamiliano, ma quasi certamente fu depredato dalle incursioni dei Saraceni.
A conferma del legame fra tesoro e San Mamiliano, nel 2004 furono davvero scoperte numerose monete d’oro sotto l’altare di una chiesa intitolata a San Mamiliano, in un vaso di terracotta. Ma la scoperta non è stata fatta a Montecristo, ma nell’antica chiesa di San Mamiliano (VI secolo) nella meravigliosa Sovana.
Il tesoro, quasi 500 pezzi, databili nel periodo degli imperatori Leone I e Antemio, tra il 457 e il 474, quindi poco dopo la morte di Mamiliano, è conservato nel museo di Sovana.
In totale si tratta di due chili e duecento grammi di oro, valore stimato in circa 4 milioni di euro.
Una parte di queste monete (66) sono state rubate dal museo nel 2019 e mai più ritrovate.
I progetti di conservazione a Montecristo
A Montecristo c’è una biodiversità unica nel Mediterraneo. Negli ultimi decenni sono stati molti i progetti finalizzati a gestire, conservare e studiare il patrimonio. Da poco è stato anche inaugurato un museo visuale e un orto botanico, entrambi visitabili nel corso delle escursioni.
Il progetto Piccole Isole ha fornito dati fondamentali per individuare siti ed habitat di importanza primaria per la conservazione di uccelli migratori euro-africani, e sul loro ruolo di bio-indicatori del cambiamento climatico.
I carabinieri forestali hanno seguito diverse indagini sulle specie arboree, ponendo particolare attenzione alla popolazione di leccio, protetta dal pascolo della capra con alcune recinzioni. È stata studiata la vegetazione per comprenderne la dinamica e l’estensione, per osservare le interazioni con le specie invasive, animali come il ratto (non più presente, è stato estirpato) o la capra, e vegetali come l’ailanto.
La berta minore e la capra selvatica
La berta minore (Puffinus yelkouan) è endemica nel bacino del Mediterraneo e nidifica in grandi colonie su rocce ricche di anfratti. Deponendo un solo uovo all’anno è molto vulnerabile alla predazione di uova e pulcini. A Montecristo vive una popolazione stimata in 400-750 coppie (4% della popolazione mondiale), tornata a riprodursi dopo l’intervento di eradicazione del ratto.
Sull’isola si trovano anche il gabbiano corso e il falco pellegrino, ma qui trovano rifugio una grande varietà di uccelli migratori.
La capra di Montecristo (Capra hircus), presente in crica 2-300 capi, è l’unico esempio in Italia di capra che sopravvive allo stato selvatico da epoca antica. Ha corna a scimitarra e mantello bruno fulvo con bande scure ed è stata introdotta sull’isola fra 7000 e 9000 anni fa.
Ben ambientata, si sposta alla ricerca di plantule e arbusti ma, data l’assenza di predatori, necessita di monitoraggio per i danni che può arrecare alla vegetazione.
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Direttore di MaremmaOggi. Dopo 30 anni di carta stampata ho capito che il presente (e il futuro) è nel digitale. Credo in MaremmaOggi come strumento per dare informazione di qualità. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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