GROSSETO. L’uomo che si è inventato la vita lo incontri per caso, in un bar, un piovoso lunedì di ottobre. Una testimonianza emozionante, densa di occhi lucidi, espressioni pennellate da sentimenti veri e vivi, un passato ancora presente e impossibile da dimenticare.
Una vita approdata integra al 2024 a dispetto di troppe tempeste, molti terremoti, gioie abbracciate a struggenti periodi di sconforto, parentesi colme di angosce, amore, sorrisi e lacrime. Una vita qualunque, di un uomo qualunque, che la tiene in mano come un diamante, guardandola con occhi privi di qualsiasi caratteristica materiale, illuminandola con raggi di un sole ancora caldo e confortante.
Lui si chiama Tonino Bifulco di Ercolano dove è nato 75 anni fa (era il 9 ottobre 1949). Ora vive in Maremma.
Tonino non riesce a dare del tu all’interlocutore, si sforza ma il lei torna immediatamente.
«A mio padre ho sempre dato del voi» spiega con quel pizzico di soddisfazione capace di trasportare l’attuale a quei giorni lontani e illuminare l’Ercolano del tempo.
Mio padre mi picchiava: «Niente scuola, lavora»
«Vivevo con i genitori e tre sorelle. I disagi non mancavano, erano pungenti. Mancavano anche i soldi. Mio padre diceva che dovevo imparare un mestiere, la scuola poteva attendere. Portare il latte è stato l’ingresso nel mondo della fatica, a sette anni facevo il falegname, poi il calzolaio».
Una sosta è dovuta, Tonino parla intercalando il dialetto all’italiano, propone espressioni del viso, che riportano alla mente Eduardo De Filippo. Ma questa non è una commedia è realtà.
«La bottega era povera, tenevo in bocca i chiodini con i quali fissavo le suole. Gli americani ci avevano lasciato montagne di anfibi, che andavamo a prendere togliendo la para di gomma con le quali riparavamo le scarpe. Il primo anno di scuola superiore d’avviamento era andato bene, nel secondo fummo tutti bocciati. Mio padre continuava a dire che dovevo lavorare e continuava a picchiarmi. Di quel periodo ricordo la fame e le botte».
Quel primo cornetto mangiato a Prato
Altra sosta per riprendersi guardando la moglie Rosaria seduta di fronte.
«Un amico di mio padre commerciava in abiti usati. Andava a Prato dove c’erano enormi capannoni pieni di qualsiasi tipo di vestiti arrivati da ogni parte. Così, seduto per ore sopra il motore del mezzo, andai a Prato. Bisognava arrivare molto presto la mattina per avere maggiore scelta. Si partì da Ercolano in piena notte, all’alba rovistavo tra quelle montagne di stoffa. Avrò avuto più o meno 8 anni e, per la prima volta, mangiai un cornetto in un bar dove respirai a pieni polmoni l’aroma del caffè».
Qui Tonino si ferma cercando le parole giuste per sintetizzare la circostanza, e riprende: «Non ho mai avuto paura di niente, solo della povertà». Rosaria lo guarda con l’ammirazione di chi ha visto aprirsi e richiudersi mille cicatrici.
«Superato l’avviamento ho frequentato la scuola tecnica diventando saldatore da un fabbro. Un lavoro massacrante per i miei 16 anni. Dopo è arrivata la Fiat a Napoli dove facevo il carrozziere. La svolta arrivò con l’iscrizione ai corsi di cameriere alla scuola alberghiera. Preso il diploma, la commissione mi trovò un contratto di una stagione in Svizzera. Precisamente a Engelberg, nel Canton Obvaldo. Avevo 17 anni, troppo pochi per lasciare Ercolano, abbandonare il mare per andare tra le montagne e la neve. Troppo pochi».
In Svizzera con i soldi del babbo
Altro riposo, Tonino risente la lacerazione del distacco, ma rivede anche una scena indimenticabile.
«Mio padre mi fece scendere dal treno, mi portò dietro una colonna di ferro dandomi un rotolo di soldi messi da parte per me. Mi disse di stare attento, di nasconderli, di tenerli stretti. In quell’istante capii che mi voleva bene, mi dava le botte, ma mi amava».
«Un istante di luce, l’attimo in cui ho sentito di essere completamente suo figlio. L’ho amato intensamente fino alla fine dei suoi giorni. Di quel viaggio interminabile ricordo i sedili di legno di un vagone di seconda classe strapieno di tanti altri disgraziati, il loro altruismo a distribuire cibo e vino, l’arrivo alla frontiera, l’attesa lunghissima, quasi nudo, prima dell’avvilente visita medica dove mi tolsero il sangue da un lobo, il freddo intenso e insopportabile».
Così inizia l’avventura di Tonino nel mondo della ristorazione dove emergono subito la sua educazione, il modo di proporsi, l’umanità e disponibilità. Anche l’abilità di stare in sala.
La proprietà dell’albergo lo conferma per un altra stagione. Conosce personaggi importanti, che lo prendono a ben volere. Una contessa lo convince a partire per Hannover e imparare il tedesco. Opera in una fabbrica di zucchero iniziando a spedire vaglia alla famiglia.
«Si lavorava con l’acqua a – 17 gradi, una pazzia». La sua vita cambia, lui no. Nel 1974 a Berlino apre il ristorante-pizzeria “Il Porto”, in seguito altri tre. Due anni dopo ecco l’avventura inglese: «Guidando un Maggiolino per l’Europa arrivai in Inghilterra, di giorno studiavo la lingua, la sera lavoravo». Torna in Germania dove le attività danno soddisfazione.
Nel 1991 sceglie di vivere a Grosseto.
L’incontro con Sergio Leone
I figli studiano, occorrono soldi. Le risorse le trova ancora in Germania, sempre nell’universo dei ristoranti.
Adesso il figlio, Pasquale, è laureato in giurisprudenza e lavora a Milano in un grande studio legale americano, la figlia Stefania è dirigente, sempre nel capoluogo lombardo, nel campo della moda firmata Prada.
«Io sono in pensione, ho scelto la Maremma dove vivo benissimo» continua Tonino sempre con gli occhi umidi.
Quindi si lascia andare a ricordi fantastici vissuti nei suoi locali. «Una sera è venuto a cena Richard von Weizsacker presidente della Repubblica Federale Tedesca dal 1984 al 1994 (capo del governo era Helmut Kohl ndr), mi ha chiamato per nome e stretto la mano. Al momento del conto ho pensato di offrirgliela in nome di tutto il popolo tedesco, quello che mi aveva accolto e aiutato. Il giorno dopo ho ricevuto un enorme mazzo di fiori firmato da lui».
Non solo questo. «Durante il film festival ho conosciuto Nino Manfredi, Alberto Sordi, Roberto Benigni e Sergio Leone. Quest’ultimo ha voluto mangiare con me parlandomi del film “C’era una volta in America”. Mi è rimasta impressa la sua frase dopo aver ascoltato la mia storia: “Ti sei inventato la vita”. Prima di uscire aggiunse che sarebbe tornato a trovarmi e questa volta “con una sorpresa – mi disse sorridendo – la tua vita merita un film”. Ricordo anche che disse che scoprì Clint Eastwood quando era istruttore di nuoto. È scomparso prima che ci rivedessimo».
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Collaboratore di MaremmaOggi. Ho viaggiato sulla carta stampata, ho parlato alla radio e alla televisione. Ora ho la fortuna e il privilegio di scrivere online su maremmaoggi.net. Come lavagna uso il cielo. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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