GROSSETO. Un tuffo nei favolosi anni Settanta a Grosseto. Venerdì 20 settembre, alle Clarisse, è stata inaugurata la mostra “Settanta mi dà tanto”. Si torna indietro di cinquant’anni, attraverso le opere di architetti, fotografi, artisti, collezionisti, cittadini.
Un racconto collettivo, che accompagna la settimana della Città visibile della Cultura, fino al clou della “Notte visibile” in programma sabato 28 settembre.
Mauro Papa, direttore del Polo Le Clarisse, ci prenderà per mano per accompagnarci, sulle pagine del nostro sito, MaremmaOggi, in quegli anni strepitosi che hanno disegnato una città diversa.
Tre storie, che saranno poi approfondite durante tre incontri in programma alle Clarisse.
Quando una dipendente del Comune di Grosseto venne licenziata per aver tentato di abortire
di Mauro Papa
Gli anni Settanta ci hanno dato tanto.
Ad esempio, nel 1978 vennero riconsegnati i corpi a chi li possedeva realmente: ai pazienti psichiatrici che, pur non avendo commesso crimini, erano reclusi nei manicomi e furono liberati dalla Legge Basaglia, e alle donne con la famosa legge 194 sull’interruzione di gravidanza.
Perché l’aborto, prima del 1978, era un reato.
A questo proposito, proprio a Grosseto avvenne un caso eclatante che andò sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. La giovane Maria Palombo, madre di tre figli e operatrice di assistenza nella Casa di Riposo del Comune di Grosseto, fu licenziata dalla giunta comunale per aver tentato di abortire. Maria era stata condannata, nel 1973, a cinque mesi e diciotto giorni con la condizionale, ma la sentenza fu notificata solo nel marzo del 1977. Il 2 dicembre dello stesso anno, di conseguenza, la giunta comunale licenziò Maria.
Le donne di Grosseto si mobilitarono immediatamente.
Il 17 dicembre del 1977 venne convocata una manifestazione nazionale in solidarietà di Maria, diventata un simbolo d’emancipazione, a cui parteciparono centinaia di donne in corteo. Fu la più grande manifestazione di sole donne – osservate con curiosità e rispetto dagli uomini ai margini del corteo – mai realizzata a Grosseto.
Centinaia di donne in corteo per Maria: le foto dell’Archivio Gori in mostra alle Clarisse
«Se venite in Clarisse, dove abbiamo allestito la mostra “’70 mi dà tanto” – prosegue il direttore Mauro Papa -troverete le foto dell’Archivio Gori che documentano quell’evento. E respirerete l’aria libera di quegli anni, percorsa da grandi slanci di impegno civile e da un entusiasmo travolgente».
A dire la verità, l’amministrazione comunale di Grosseto aveva tentato di giustificarsi dichiarandosi «costretta al licenziamento pena l’incriminazione per omissione d’atti d’ufficio da parte del sindaco». E non è difficile credere a quell’imbarazzo, perché in effetti il Comune di Grosseto era sensibile, in modo trasversale, ai nuovi temi avanzati sia dall’UDI (Unione Donne in Italia) che dal CIF (Centro Italiano Femminile), associazione cattolica rilanciata in quegli anni dal sempreverde Don Franco Cencioni. E i nuovi temi, dopo la rivoluzione culturale del Sessantotto, erano temi “caldi” come il diritto di famiglia, la sessualità, la contraccezione e l’aborto.
Ricordiamo che il Comune di Grosseto fu il primo in Italia a istituire un Centro pre-matrimoniale e matrimoniale presso i suoi ambulatori nell’aprile 1973, quindi ben due anni prima della legge dello Stato e addirittura quattro anni rispetto alla legge regionale di istituzione dei Consultori. E poi aveva realizzato asili nido, tra i primi in Italia, e scuole materne comunali.
Il Collettivo femminista
Nel gennaio del 1976, inoltre, era nato a Grosseto il primo Collettivo femminista, promosso da quattro “compagne del PdUP” (Partito d’Unità Proletaria) in contrasto con tutta la politica che, a loro dire, essendo gestita da maschi non «dava lo spazio dovuto alla questione femminile». Il battesimo del Collettivo avvenne l’8 marzo del 1976 con una manifestazione-corteo che raccolse una cinquantina di donne con tre pupazzi raffiguranti gli emblemi dell’oppressione: un magistrato, un medico e il Papa.
«In Clarisse abbiamo in mostra le foto e, liberamente consultabili, i numeri di una rivista satirica autoprodotta nel 1977 dai giovani comunisti – dal titolo “Aprire il fuoco!” – in cui è rappresentato plasticamente lo scontro tra i maschi paternalisti (che ironizzano sul Collettivo con un articolo dal titolo esplicativo “Chi dice donna…”) e le femministe che rispondono piccate e risentite – spiega ancora Mauro Papa – Insomma, il clima era esplosivo».
Il rientro di Maria al lavoro
Fortunatamente, il Comitato regionale di controllo nel febbraio del 1978 annullò la delibera di licenziamento perché la condanna che comportava la perdita dei diritti politici – Maria era stata condannata anche alla cancellazione dalle liste elettorali – non comportava anche la perdita dei diritti civili come quello di essere un dipendente pubblico.
Maria tornò quindi al lavoro e fu una grande vittoria che mise d’accordo femministe e giovani comunisti. Sull’onda del trionfo le donne del Collettivo, di slancio, occuparono nel novembre del 1978 l’ex orfanotrofio maschile “Garibaldi” per farlo diventare sede di un centro di aggregazione di tutte le donne, a prescindere dall’orientamento o dall’appartenenza politica. Ma l’idea si concretizzerà solo nel 1986, non senza aspri confronti e matasse burocratiche da sbrogliare.
Lunedì 23 settembre l’incontro alle Clarisse
Di questo argomento, se ne parlerà in Clarisse lunedì alle 18 con un incontro dal titolo “Riprendiamoci la vita, il movimento delle donne a Grosseto negli anni Settanta”, con Stefania Cecchi e Giuliana Gentili (testimoni) e Claudia Musolesi (storica del feminismo).
L’ingresso è gratuito, vi aspettiamo.
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