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Tartaruga affogata: «Gli animali non sono peluche»

Chi ha scambiato la testuggine per una tartaruga marina ha agito per ignoranza. Il presidente del Parco dell’Arcipelago Giampiero Sammuri: «La cosa migliore da fare con gli animali selvatici è lasciarli stare e non fare nulla»
La lapide di Marina

MARINA DI GROSSETO. Hanno scambiato una testuggine per una tartaruga marina. L’hanno messa in acqua e la povera tartaruga è morta. È successo il 1° agosto sulla spiaggia tra Marina di Grosseto e Castiglione della Pescaia dove ora si trova una piccola lapide in legno, che i volontari di Tartamare hanno voluto lasciare a futura memoria. Per ricordare l’animale rimasto vittima dell’ignoranza di chi, forse, voleva aiutarla. 

Un fatto grave, sconcertante, che ha spinto Giampiero Sammuri, presidente del Parco dell’Arcipelago, ad alcune riflessioni, che sono affiorate una volta ripreso dallo sconcerto. 

«Troppa ignoranza sugli animali»

«In primo luogo mi sono domandato: ma possibile che anche uno che non ha nessuna conoscenza degli animali non sappia che le tartarughe marine hanno gli arti trasformati in pinne ed invece quelle terrestri hanno delle zampe con begli unghioni?  – dice Sammuri – Non hanno mai visto, non voglio dire un documentario sulla natura, ma almeno un film d’avventura in cui si vede una tartaruga che nuota?

Poi, subito dopo, mi sono reso conto che ci sono bambini che mangiano petti di pollo e che non sanno che quel prodotto è una parte di un animale e quando vedono una gallina per la prima volta e qualcuno gli spiega che è da quell’animale che poi esce fuori il suo petto di pollo, hanno difficoltà a crederlo.

«Non tutti gli animali sono da salvare»

Chi ha messo in acqua la testuggine, probabilmente, pensava che il rettile fosse in difficoltà e che non sarebbe stato capace, da solo, di tornare in mare. M ail bisogno di salvare ogni animale che si incontra, non sempre produce quell’effetto. «Più di una volta mi sono sentito dire “ho trovato questo piccolo cerbiatto (che in realtà era un capriolo) abbandonato dalla madre e “sofferente” – spiega il presidente del parco dell’Arcipelago –  In realtà il capriolo stava benissimo e la “madre” si era semplicemente allontanata al sopraggiungere delle persone per sviare le attenzioni di un eventuale predatore. Toccare il piccolo lo fa abbandonare dalla madre, ma tant’è…Stessa cosa con i nidi: “questi piccoli erano  abbandonati e piangevano (sigh)” come se gli adulti anche se fossero nel nido quando qualcuno si avvicina restassero lì».

Giampiero Sammuri, presidente del Parco dell’Arcipelago

«Per non parlare di quelli che danno da mangiare agli animali selvatici alterandone il comportamento – dice ancora – o creandogli seri problemi sanitari, come nel caso delle volpi o commettendo anche un illecito penale come nel caso del cinghiale. Se qualcuno  pensa  di aver visto un animale in difficoltà, magari di una specie minacciata, dovrebbe appunto non fare nulla e segnalarlo a parchi, carabinieri forestali, corpi di polizia provinciale o regionale, zoologi se li conosce».

La cosa migliore è non fare nulla

La cosa migliore, quindi, è non fare nulla. «Questo, al di là delle norme e del buon senso, mi fa nascere spontanea una domanda – dice Sammuri – ma possibile che non riusciamo a far capire alla stragrande maggioranza della popolazione che quando incontrano un animale selvatico il comportamento migliore che possono tenere è quello di non fare nulla? E poi mi domando: è colpa nostra? Quando dico nostra penso a chi si occupa di conservazione della natura e di gestione faunistica. Facciamo abbastanza informazione? La facciamo,  ma penso che possiamo fare molto meglio, impegnandoci di più sull’argomento».

Sammuri lancia l’appello ai media: «C’è purtroppo un’informazione prevalente che tende spesso ad umanizzare gli animali selvatici in modo Disneyano. Questo spinge molte persone a pensare che, più che animali selvatici, siano peluches. Naturalmente non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ci sono giornalisti che si informano, si documentano e ascoltano specialisti prima di scrivere o parlare in tv o alla radio, ma purtroppo sono una minoranza».

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