di Jessika Biondi
PIOMBINO. “Quaderni proletari” è il titolo del libro di Fabio Demi, edito da Edizioni Il foglio di Gordiano Lupi.
Ex giornalista de Il Tirreno, Demi ha voluto dare voce a degli scritti, mantenuti per oltre 40 anni in degli scatoloni, quaderni di poesie ingialliti e appunti sparsi, scritti di getto, su foglietti anonimi che raccolgono le memorie di Gino Tinagli, nonno della moglie dell’autore.
“Quaderni proletari” verrà presentato al circolo Arci del Cotone, a Piombino, sabato 2 dicembre alle 17:30. Introduce e coordina Ado Grilli, responsabile dell’educazione alla legalità, con un intervento dell’editore Gordiano Lupi.
La visione del mondo di un umile proletario
«Una visione del mondo da parte di un umile proletario che meritava di essere raccontata» sostiene Demi.
Siamo curiosi, chi era Gino Tinagli?
«Era un grande lavoratore, un uomo semplice ma con una profondità di pensiero che non ti aspetteresti e che si manifestava ampiamente nei suoi scritti. Nato nel 1904, anziché frequentare la scuola, come spesso all’epoca succedeva, badava alle pecore per rendersi utile come forza lavoro. Crescendo, poi, divenne contadino prima a Bolgheri e a Venturina, per essere impiegato infine nelle acciaierie di Piombino con il compito di aggancino».
Il sottotitolo del libro, infatti, è Da Bolgheri a Piombino. Vita quotidiana e lotte sociali del ‘900 nelle memorie di Gino Tinagli, poeta contadino e operaio.
«Un semi analfabeta, ma con una voglia di imparare, di leggere e di conoscere che andava oltre la difficoltà della sua condizione. Si fece insegnare a leggere e scrivere dal padre, per poi proseguire da autodidatta. Una volta terminata la giornata lavorativa, Gino amava rinchiudersi nel suo mondo fatto di versi, rime in ottava per la precisione, particolarità metrica toscana, e metteva su carta le sue impressioni, i suoi sogni, le sue denunce alle ingiustizie dell’epoca».
Nel libro si leggono riferimenti ai Conti della Gherardesca, alla mezzadria e ad un sistema ancora di stampo feudale, ma anche al fascismo, al comunismo e agli americani.
«Gino era un comunista convinto che non aveva mai preso la tessera del partito fascista. Nei suoi quaderni ha descritto dettagliatamente la condizione dei contadini del primo Novecento. Anche il solo sposarsi non era cosa scontata. Era necessario il permesso da parte dei Conti della Gherardesca se ci si innamorava di qualcuno al di fuori del Comune di residenza per coronare le nozze e non sempre tale permesso veniva concesso. La particolarità delle sue poesie sta nel fatto che queste erano una vera e propria denuncia allo sfruttamento feudale. Ma tratta anche di politica, delle battaglie sindacali all’Ilva, critica il Vaticano e parla di anti-americanismo».
Leggere le memorie di Gino Tinagli dà l’impressione di essere catapultati in un’altra epoca, un passato vicino ma di difficile comprensione da parte della maggior parte di noi che ormai vive e lavora dietro uno schermo di un Pc.
«Un passato ormai lontano, descritto minuziosamente da un testimone del 900 con una grafia minuta, sgrammaticata, scoordinata ma non priva di profondità di ragionamento, un uomo di sinistra dal grande senso civico e una forte speranza nel futuro».
Il tesoro negli scatoloni impolverati
Che sensazione le ha dato immergersi in quel mondo?
«Sono rimasto esterrefatto e ho pensato immediatamente che in quegli scatoloni impolverati ci fosse un vero e proprio tesoro, una testimonianza unica, che aveva tutti gli estremi per essere pubblicata e che meritava di essere conosciuta».
Gino non era solo un proletario, ma anche un uomo di famiglia e un amico che si dilettava con le sue poesie per rallegrare le feste.
«Ai battesimi, ai matrimoni, alle riunioni di famiglia amava ergersi e raccontare versi, dediche agli amici e ai parenti, talvolta forse non apprezzate a pieno, tuttavia volte a rallegrare e far riflettere e, forse, tramite la scrittura, fare conoscere quella parte di sé che teneva nascosta».
Emblematica la foto di copertina…
«È lui. È un uomo del secolo scorso, con un’espressione che parla da sola, sopracciglia folte, sguardo fisso e profondo. Accanto, la stufa, per riscaldarsi dal freddo pungente, ascoltando lo scoppiettare delle legna, come sottofondo ai suoi più reconditi pensieri».
Nella prefazione del libro, Stefano Tamburini, ex direttore del giornale “Il Tirreno”, lo definisce “una via di mezzo tra “Fontamara” di Ignazio Silone e “Radici” di Alex Haley, non tanto nello stile narrativo, quanto nel valore di una testimonianza che arriva a noi da un passato che sembra più lontano di quanto non lo sia realmente”.
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