GROSSETO. Durerà fino a settembre 2025 e ha tutto per essere la mostra top del 2025 in Italia, almeno per quanto riguarda le scoperte archeologiche. Nell’anno del Giubileo Grosseto si veste di meraviglia esponendo al Maam, il Museo archeologico e d’arte della Maremma, diretto da poco da Luca Giannini, il frutto di un lavoro ventennale di scavo e restauro che, a distanza di millenni, svela ai visitatori i segreti della civiltà etrusca, la nascita di Roselle, il percorso del popolo da cui discendono i maremmani.
Abbiamo visitato la mostra Rex Rosellarum in anteprima: camminando fra quelle teche capisci quanto quell’antica civiltà abbia lasciato un’impronta indelebile sulla storia dell’Italia antica e sulla cultura romana. E quanto gli Etruschi fossero abili nell’arte della metallurgia, una delle civiltà più avanzate dell’epoca, almeno dal IX fino al IV secolo avanti Cristo, quando subì l’influenza sempre maggiore dei Romani.
Dalle sepolture etrusche di Sassi Grossi a Roselle, la mostra Rex Rosellarum espone una serie di reperti eccezionali, che levano il fiato e fanno riflettere.
Attraverso la deposizione all’interno delle tombe di questi pregiati corredi funerari, frutto della perizia artigianale e metallurgica degli Etruschi e dei loro scambi commerciali con le altre antiche civiltà del Mediterraneo, gli inumati di Sassi Grossi dimostravano alla comunità la ricchezza di cui godevano in vita e di cui potevano disporre anche nell’aldilà.
LE FOTO
La mostra è aperta, la presentazione alla Chelliana
La mostra è stata presentata sabato 21 alla biblioteca Chelliana e inaugurata nello stesso giorno. Sarà visitabile fino al 28 settembre del 2025.
Rex Rosellarum è il frutto di un lungo e accurato lavoro di ricerca, restauro e studio che ha coinvolto esperti di grande calibro e prestigiose istituzioni, tra cui il Laboratorio ArCe del Dipartimento Sagas dell’Università di Firenze, con il cofinanziamento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Curatori sono il professore di etruscologia del Dipartimento Sagas dell’Università di Firenze Luca Cappuccini e il professore di etruscologia del Dipartimento delle scienze umane dell’Università dell’Aquila Matteo Milletti.
Alla presentazione erano presenti anche il soprintendente all’Archeologia Gabriele Nannetti, il funzionario archeologo Enrico Maria Giuffrè, l’archeologo ed etruscologo Adriano Maggiani, Sara Neri del ministero della cultura e l’archeologo Mario Cygielman.
Entusiasta, e non potrebbe essere altrimenti, l’assessore alla cultura Luca Agresti, consapevole che questa mostra eccezionale, nell’anno del Giubileo, può essere un fantastico motore per il turismo grossetano.
LE INTERVISTE
La storia millenaria dei Sassi Grossi
Quei campi, 20 anni fa, erano coltivati, come tutti gli altri da quelle parti.
Nel 2004 le arature intercettarono e, in parte, distrussero due grandi tombe a fossa etrusche (Fossa I e Fossa Il), originariamente delimitate da un circolo di grandi pietre (di qui, presumibilmente, il toponimo di podere Sassi Grossi), localizzate nei pressi di Roselle.
Un intervento di emergenza, condotto dalla Soprintendenza, consentì il recupero dei reperti archeologici portati in luce dai lavori e il successivo scavo di ciò che restava delle sepolture.
Un paziente lavoro di restauro ha permesso la parziale ricomposizione dei corredi e, finalmente, lo studio e la presentazione al pubblico di questo eccezionale contesto.
Il guerriero con l’elmo, lo scudo e la spada
Nella Fossa I, una più antica deposizione (700-675 a.C.) si riferisce ad un uomo, connotato come guerriero dalla presenza di armi da difesa e da offesa, tra cui uno scudo, un pettorale, lance e una spada, oltre ad un eccezionale elmo decorato con lamina di bronzo a traforo.
L’individuo, certamente a capo di una potente gens (famiglia), era stato inumato e probabilmente avvolto in una veste o un mantello trattenuto da varie fibule.
Una seconda deposizione (675-650 a.C.) è anch’essa riferibile ad un uomo: il suo corpo fu cremato e i resti raccolti all’interno di un vaso in bronzo; il coperchio, presumibilmente in legno, doveva riprodurre un volto umano e non si è conservato ma ne restano sottili lamine d’oro utilizzate per rendere, ad esempio, particolari come gli occhi.
Lo scettro, segno di potere
La scelta di conferire un aspetto “umano” era volta a restituire un’immagine “regale” del defunto agli occhi della comunità, riunita in occasione della cerimonia funebre. Nel corredo, uno scettro, insegna di potere per eccellenza, e alcuni elementi pertinenti ad un carro da guerra, permettono di riconoscere in questo secondo individuo un altro personaggio di rango elevato.
La presenza di numerosi vasi e strumenti legati alle pratiche conviviali del simposio e del banchetto (coppe in argento, calderoni e coppe baccellate in bronzo, spiedi in ferro) testimoniano la piena adesione delle élites rosellane agli ideali aristocratici del periodo orientalizzante, appresi (e poi rielaborati secondo le tradizioni e i gusti locali) dai loro omologhi greci e orientali, con i quali intrattenevano stretti rapporti.
Tra gli oggetti deposti nelle due tombe, si segnala una suggestiva presa di “incensiere” che rappresenta un personaggio con corona sul capo e con le braccia alzate che si trasfigurano in protomi equine, richiamando il tema del despotes hippon, il “signore dei cavalli”, anch’esso di origine orientale.
L’eccezionale tripode in bronzo
Su tutti i reperti spicca però l’eccezionale tripode in bronzo, vero e proprio capolavoro della metallotecnica, in ferro rivestito di bronzo. Una complessa serie di statuette, solo in parte purtroppo recuperate, arricchisce il cerchio interno laminato che doveva unire le tre sinuose gambe: del vaso, forse una sorta di calderone, non restano che le quattro anse antropomorfe che confermano la grande perizia tecnica degli artigiani che realizzarono questo manufatto.
Di grande rilievo sono anche i due pesi di bronzo (aequipondia), riccamente decorati a cesello con motivi geometrici, modelli per la riproduzione dei pesi normalmente impiegati nelle operazioni commerciali.
L’origine orientale dell’unità di misura ricostruibile dal peso dei due oggetti, altro unicum del ricco corredo di Sassi Grossi, testimonia il ruolo dei suoi possessori, capi di una comunità e posti al centro di una rete commerciale di ampio raggio che ha sicuramente contribuito a definire il potere e la ricchezza di questa famiglia.
Il complesso restauro
I reperti recuperati a Sassi Grossi furono trasferiti al Centro di Restauro dell’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e affidati alle cure di Daniela Gnesin.
Dopo varie vicissitudini e la chiusura del Centro di Restauro fiorentino, l’intero lotto di materiali è tornato a Grosseto nella sede distaccata della Soprintendenza Abap di Siena, Grosseto e Arezzo, dove è stato recentemente allestito un nuovo laboratorio di restauro.
Dei moltissimi reperti, solo alcuni erano stati già interessati da primi interventi di consolidamento, mentre la maggior parte era ancora in attesa di restauro.
In questi ultimi anni, Simona Pozzi, restauratrice della Soprintendenza, ha portato avanti un complesso e paziente lavoro di riconoscimento, pulitura, ricomposizione e integrazione dei materiali, alcuni dei quali in pessimo stato di conservazione, coordinando infine anche i restauri che, nel 2024, hanno consentito il recupero degli oggetti oggi esposti.
Laser e ultrasuoni per il restauro
I nuovi restauri, finanziati dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e condotti da un’équipe di restauratori (Anita Bressan, Veronica Collina, Simone Di Virgilio, Merj Nesi e Giovanni Rotondi) hanno incluso il consolidamento di vecchi interventi, nonché la pulitura dei reperti con strumenti avanzati, come laser e ultrasuoni.
In alcuni casi, sono stati utilizzati materiali innovativi come elastomeri e mentolo puro per il consolidamento di resti organici e particolari fragili.
Un’operazione cruciale è stata la ricostruzione dei reperti, parziale e integrale, che ha richiesto grande precisione per restituire loro la forma originale.
La collaborazione tra archeologi e restauratori è stata dunque fondamentale per identificare correttamente i singoli oggetti, spesso conservati in frammenti e ritorti, e guidare le operazioni di restauro.
La ricomposizione delle parti è avvenuta tramite incollaggi con resine epossidiche e l’inserimento di perni in ottone per garantire la stabilità strutturale.
La maestria nelle tecniche di lavorazione
Gli approfondimenti tecnologici sui reperti hanno rivelato una grande maestria nelle tecniche di lavorazione, come nel caso del tripode, che ha mostrato avanzati espedienti tecnici nella sua costruzione. Altri manufatti, come l’elmo e l’affibbiaglio a pettine, sono stati restaurati grazie a prove di ricostruzione e analisi dettagliate, rivelando caratteristiche uniche nella decorazione e nella funzionalità.
Il restauro ha quindi non solo restituito la forma fisica dei reperti, ma ha anche permesso di acquisire preziose informazioni sulle tecniche
artigianali dell’epoca.
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Direttore di MaremmaOggi. Dopo 30 anni di carta stampata ho capito che il presente (e il futuro) è nel digitale. Credo in MaremmaOggi come strumento per dare informazione di qualità. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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