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Obiezione all’aborto, Pro vita: «La legge 194 è strumentalizzata»

Secondo il comitato il diritto da rispettare è quello alla vita. Ferraro: «Dovremmo combattere per ciò che davvero ci sta più a cuore: i nostri figli»
Una manifestazione pro aborto a Grosseto (foto d'archivio)
Una manifestazione pro aborto a Grosseto (foto d’archivio)

GROSSETO. L’aborto è un tema ampiamente discusso ancora oggi ed è possibile dividere il dibattito in due fronti generali: chi è contro e chi è pro. In risposta al nostro articolo pubblicato il 10 dicembre 2024 dal titolo “Aborto, più della metà del personale sanitario è obiettore“, interviene Manuela Ferraro del comitato “Pro-life insieme“ di Poggibonsi, in provincia di Siena.

Nell’articolo viene messo in luce che a Grosseto il 52,3% del personale è obiettore di coscienza, ma che è possibile trovare con facilità non obiettori.

«Vorrei partire dalla vostra affermazione secondo cui i motivi per i quali una donna ricorre all’ aborto sono sempre “insindacabili” mentre i motivi che spingono i medici all’obiezione di coscienza sono di carattere personale – scrive Ferraro –  In realtà, come sicuramente a voi noto, il giuramento di Ippocrate al quale ogni medico deve prestare fedeltà da secoli, per poter esercitare la sua professione, si basa su una condizione essenziale: quella di “non nuocere“. Condizione non rispettata quando si parla di aborto, l‘obiezione non è un elemento soggettivo, ma oggettivo».

La legge 194

La legge in questione stabilisce che l’aborto non è un mezzo di controllo delle nascite. E ci mancherebbe: sottoporsi a un raschiamento ogni volta che qualcuna rimane incinta nel corso della propria vita è impensabile. Per questo ci sono i metodi anticoncezionali ed è necessario investire nella conoscenza. Su come, quindi, evitare una gravidanza assumendo la pillola, indossando l’anello vaginale, oppure utilizzando i profilattici.

«Il secondo passaggio che vorrei sottolineare è la natura delle motivazioni da voi definite “insindacabili”, che spingerebbero la donna ad abortire – scrive Ferraro – a tal proposito ci viene in aiuto proprio la tanto citata legge 194, purtroppo spesso strumentalizzata, che si prefigge di abbattere proprio quegli ostacoli di tipo economico, lavorativo e sociale che potrebbero indurre la donna a ricorrere all’aborto».

«Pertanto i motivi che voi definite insindacabili sono invece definiti dalla stessa legge come ostacoli che, prendendosi carico della madre, è possibile superare – continua – Basterebbe leggere la 194 per trovare espressamente indicato il suo scopo di tutela della maternità e la chiara condanna del ricorso all’aborto come metodo di controllo delle nascite. Ma questo chissà perché non si deve mai dire».

L’articolo 4 della legge 194 del 1978 sancisce che: «Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche (…) si rivolge ad un consultorio pubblico, a una struttura sociosanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia».

E un passaggio della stessa legge, solo nell’articolo 5, spiega che il personale medico della struttura socio-sanitari a cui la donna si rivolge ha la possibilità di esaminare con la donna e il padre del feto le possibili soluzioni alternative, soprattutto nel caso di aborto dovuto alle condizioni economiche. Ma con un limite importante: «Ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito», come si legge nel testo. 

«Le donne schiave di una scelta obbligata»

L’interruzione volontaria di gravidanza è una scelta difficile. In alcuni casi è l’unica strada che una donna sente di poter intraprendere, perché il preservativo si è rotto o l’anticoncezionale ormonale non ha funzionato, perché ha deciso di non voler mai essere una madre o sceglie di non esserlo in quel momento preciso della sua vita.

«In conclusione, guardando ai fatti, i dati ci dimostrano che oggi in Italia non ci sono donne che vogliono abortire e non possono farlo – scrive Ferraro – mentre purtroppo ci sono molte donne che avrebbero voluto un’alternativa, ma non hanno trovato nessuno disposto ad aiutarle. L’aborto non è un diritto, l’aborto è sempre una tragica sconfitta. Il padre di tutti i diritti è il diritto alla vita, è grazie all’accoglienza delle nostre madri che noi oggi siamo qui a parlarne».

«Spero che molte donne si uniscano in questa rete fatta di tante persone e associazioni che offrono un’altra possibilità – conclude – Non rendendoci schiave di una scelta “obbligata”. Noi donne dovremmo combattere per ciò che davvero ci sta più a cuore: i nostri figli».

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