
GROSSETO. La prima volta lo ha visitato all’ospedale di Siena. Ivo Tamantini era ricoverato in Rianimazione alle Scotte: aveva alcune ferite al volto e sangue rappreso sull’orecchio destro. Altri lividi, il professor Mario Gabbrielli, ordinario di medicina legale all’Università di Siena, le ha riscontrate anche addosso all’anziano. La visita, il consulente medico della Procura, l’ha fatta il 30 luglio 2020, una settimana dopo la furibonda lite scoppiata in via della Dogana. Quando Alessandro Boccagna, ex militare di 54 anni, avrebbe colpito il 78enne con una zappa.
L’uomo, difeso dagli avvocati Lorenzo Borghi e Mario Tamberi, è accusato di omicidio preterintenzionale. Nell’udienza precedente, di fronte alla Corte d’assise, presidente Laura Di Girolamo, giudice Marco Bilisari, uno dei testimoni oculari aveva detto di aver visto l’imputato colpire tre volte l’anziano. «Con un martello – aveva spiegato – o comunque con un attrezzo con un manico corto». Il pensionato ha un orto in via della Dogana. E la mattina del 23 luglio 2020 era lì.
Mercoledì 29 marzo, nell’aula della Corte d’assise del tribunale, il processo è proseguito con i testimoni della Procura: con il professor Mario Gabbrielli, che ha ricostruito il percorso clinico dell’anziano e i risultati dell’autopsia, con i familiari dell’ex militare del Savoia, la moglie e il figlio, che hanno deciso di non rispondere alle domande e con l’esame di Boccagna che su diverse questioni fondamentali ha tentennato.
«Ucciso dalla sindrome da immobilizzazione»
Se Ivo Tamantini non fosse finito per terra, sbattendo la testa con violenza, non sarebbe morto. Ne è certo il professor Gabbrielli che ha risposto alle domande del sostituto procuratore Salvatore Ferraro.
«La frattura alla testa e i focolai emorragici che sono seguiti – ha detto il medico legale – sono stati provocati dalla caduta per terra: l’anziano ha sbattuto su una superficie piatta. Diversa invece l’origine delle fratture alle costole». Ne aveva tre, fratturate, quando è arrivato all’ospedale. «Fratture compatibili – ha aggiunto – con il colpo inferto dal manico della zappa, ma potrebbe essere stato anche un pugno o un calcio». Un’altra lesione, Tamantini, l’aveva a una vertebra. Un fatto questo, che ha portato il medico legale a sostenere che «I colpi inferti sono stati almeno due».

Il settantottenne non avrebbe nemmeno tentato di difendersi. E le lesioni riportate, che lo hanno costretto a letto, senza potersi muovere, attaccato al ventilatore per poter respirare, lo avrebbero ucciso. «Le fratture alle costole non lo avrebbero ucciso – dice il medico – ma in pazienti in là con gli anni, seppure in buono stato di salute, la sindrome da immobilizzazione può essere letale».
I dubbi sulle ferite al torace dell’ex militare e la maglietta lavata
Cinque giorni dopo la lite, Boccagna è stato visitato da Gabbrielli. Delle tre ferite al torace che il 54enne avrebbe riportato durante l’aggressione, in quell’occasione, non aveva fatto alcuna menzione. «Aveva una frattura al naso – dice Gabbrielli – compatibile con un colpo. Delle tre ferite al torace ho saputo solo due giorni dopo, quando ho visitato di nuovo Boccagna. Il primo e il terzo erano distanti sei centimetri, la misura che intercorre tra i rebbi della zappa. Ma in mezzo, c’era un’altra piccola ferita circolare».
Ferite che però sarebbero state viste soltanto quando l’avvocato chiese al suo cliente di spogliarsi. Ferite che avevano sanguinato, dal momento che erano già ricresciute le crosticine. «Il dolore deve averlo sentito – dice Gabbrielli – perché hanno sanguinato. Ma datarle con precisione è impossibile». Sangue che però non è stato trovato sulla maglietta che il cinquantaquattrenne indossava.
È su questo aspetto che si è soffermato l’avvocato Carlo Valle, parte civile per i familiari dell’anziano. «La maglietta però – ha detto Gabbrielli – era pulita». Sequestrata dalla polizia giorni dopo, era stata lavata dall’imputato.
I familiari di Boccagna non rispondono
L’esame del perito si conclude in due ore. È la volta degli ultimi testimoni. Di Cipriano, che la mattina del 23 luglio stava andando all’orto a trovare il cugino, che ha usato il suo cellulare per chiamare il 118. «Quando sono arrivato il furgoncino era in mezzo alla strada – dice – ho visto un uomo che gesticolava e mi chiedeva di fermarmi. Sono sceso dall’auto e ho visto l’uomo in terra, cercava di muoversi. Con il mio cellulare ho chiamato il 118».
La memoria dell’anziano, ogni tanto, lo tradisce. Alcuni dettagli sono rimasti impressi nella sua mente, altri – forse la maggior parte – si sono persi. Ma a differenza di quanto successo nella passata udienza, quando le testimonianze di due vicini sono finite in Procura, il suo racconto è risultato attendibile. «Mi ha detto: vieni qua, vieni qua: chiama l’ambulanza e i carabinieri – ha spiegato – Io ho chiamato il 118 ma non sapevo che via fosse quella nella quale ci trovavamo. Mi ha preso il telefono di mano e lo ha detto lui all’operatore».
E i familiari di Boccagna? Il pm li aveva citati nella lista dei testimoni e avrebbe voluto sentirli. Ma entrambi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Parla l’imputato: «Veniva, orinava sugli olivi e se ne andava»
Riparte dall’acquisto della casa, il sostituto procuratore Salvatore Ferraro. Dall’aggiudicazione all’asta avvenuta nel 2017 e dalla causa per la servitù di passaggio che insisteva su quel giardino. «Nei documenti del tribunale non c’era traccia della servitù di passaggio – dice Boccagna – l’ho saputo quando ho chiuso la recinzione e mi è arrivata la lettera dell’avvocato di Tamantini».
Comincia la causa, che viene persa da Boccagna: Tamantini poteva passare da Tamantini per raggiungere il suo appezzamento di terreno, dove aveva una quindicina di piante d’olivo. «Veniva ogni giorno – ha detto l’imputato – ci stava pochi minuti, orinava agli alberi più vicini a casa mia e se ne andava».
Soltanto a maggio del 2020 i due uomini affrontano l’argomento. «Io gli avevo chiesto di chiudere i cancelli, quando passava e di stare attento quando entrava nel mio giardino con l’Apecar – spiega – lui per tutta risposta mi disse che aveva la zappa e che l’avrebbe potuta usare. Per questo, nel pomeriggio, andai a casa sua per chiarire la situazione. Trovai la moglie che mi disse che stavano insieme da 35 anni e che lui quando parlava con le persone si innervosiva. Mi chiese scusa e io me ne andai».
Ma quante volte Tamantini andava al terreno? «Tutti i giorni». Il pm Ferraro insiste, perché altri testimoni avevano invece detto che il 78enne, nel terreno con gli olivi, andava di rado. «Tutti i giorni in cui io ero in casa», si corregge. «E quando c’era, lei, in casa?», incalza il pm. «Sia io che mia moglie lavoriamo – dice – Succedeva però quando non eravamo al lavoro». «Quindi, non ogni giorno», conclude il magistrato.
Il giorno della tragedia: «L’ho solo spinto per difendermi»
Boccagna era stato all’estero, in missione, dall’ottobre dell’anno prima fino a febbraio 2020. Poi era tornato a casa e c’era stato i lockdown. Prima del 23 luglio, giorno della tragedia, tra i due non ci sarebbero state discussioni.
«Quella mattina verso le 6.15 sono andato a correre come sempre e sono rientrato intorno alle 7 – dice – mi sono fermato a fare stretching in giardino quando è arrivato Tamantini. Gli ho chiesto cosa fosse venuto a fare anche quella mattina e lui mi ha risposto che non erano affari miei e che poteva entrare nel suo terreno. Mi sono avvicinato, chiedendogli di parlarne. È andato al suo furgoncino, ha preso la zappa. Gli ho detto: guarda, passi i guai. Lui mi ha colpito e io ho alzato le braccia, per difendermi. Ho ricordi frammentari, l’ho sentito che mi prendeva a calci, faceva un verso gutturale. L’ho spinto co forza, ho fatto un mezzo passo indietro ed è cascato a terra di schiena. Poi l’ho soccorso».
Tamantini urlava, durante la lite. «Io invece non ho mai alzato la voce – dice – Volevo chiamare i carabinieri». Il pm gli chiede se avesse avuto gli occhiali indosso quella mattina, Boccagna gli tira fuori dal taschino della giacca. Sono spaccati a metà. «Ma non si sono rotti subito – dice – si erano solo incrinati, si sono spaccati il giorno dopo». E ancora: «Mi ha detto ora ti sistemo io, ora ti ammazzo – dice – Ha sferrato il colpo e io ho alzato il braccio. Ricordo dolore al naso e alla fronte. Mi teneva le braccia ferme e mi prendeva a calci. Ho sentito il suo respiro sul collo e la sua saliva e l’ho spinto. Lui è caduto. Non ricordo di aver preso la zappa dalle mani al Tamantini». Non lo ricorda, Boccagna. Ma lo ha detto il testimone oculare: i tre colpi sono stati ripresi anche dalle telecamere di videosorveglianza dell’abitazione dell’uomo.
Il giallo delle telecamere
Boccagna, quando ha visto Tamantini per terra in una pozza di sangue, avrebbe provato a chiamare il 118 con il suo cellulare senza però riuscirci. «Ho due sim – dice – una però ha il prefisso ministeriale e non ci sono riuscito. Per quello ho usato il telefono del mio vicino. Dell’altro testimone che prima ha detto di aver chiamato i soccorsi non ricordo nulla».
E anche sulle lesioni al torace, Boccagna non sa dire come abbia fatto l’anziano a procurargliele. In nessun fotogramma dell’aggressione, così come l’ha descritta lui in aula, c’è qualche comportamento dell’anziano compatibile con quelle lesioni. «Le ferite me le ha fatte il Tamantini ma non mi ricordo come ha fatto», dice. L’avvocato valle chiede l’acquisizione degli occhiali spaccati, poi l’esame si sposta sull’impianto di videosorveglianza e sulle due intercettazioni ambientali registrate nell’auto dell’uomo, dove parla con la moglie.
Un dialogo ascoltato dalla polizia il 25 luglio durante il quale la donna, facendo riferimento a una delle sim delle telecamere dice: «Mica hanno capito come funziona, io dalla mia applicazione l’ho cancellata. È stata utilizzata per scaricare tutte le mie cose del cellulare». Il riferimento sarebbe alla scheda della telecamera che dà sul retro della casa. Che è stata consegnata alla polizia successivamente. Quella che invece riprende l’ingresso era stata sequestrata la mattina della tragedia.
È la presidente Di Girolamo a insistere sul punto: a chiedere se quelle telecamere possono essere spente, se le immagini si possono sovrascrivere a blocchi o cancellarle. Domande alle quali risponderà, durante la prossima udienza, il consulente tecnico. Boccagna ne è certo: «Le telecamere non possono essere spente – dice – registrano continuamente su delle micro sim uguali a quelle del telefono. Quando le hanno installate, io ero in missione e non avevo nemmeno l’applicazione».
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Redattrice di MaremmaOggi. Da bambina avevo un sogno, quello di soddisfare la mia curiosità. E l'ho realizzato facendo questo lavoro, quello della cronista, sulle pagine di MaremmaOggi Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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