GROSSETO. La Maremma non è tutta uguale. O forse non è neppure tutta Maremma. Ma una cosa le varie zone della provincia di Grosseto, la gran parte della Maremma toscana, hanno in comune: la buona cucina.
Cucina di campagna, cucina che dà il meglio di sé negli agriturismi, figlia di prodotti tipici e genuini, di cuoche e cuochi che si rimboccano le maniche e seguono ricette antiche, ma ancora attuali e da leccarsi i baffi. Mangiare in agriturismo, in Maremma, è scegliere fra le eccellenze.
La ricerca annuale sulla qualità della vita del Sole 24 Ore mette la Maremma ai primi posti in Italia (7ª) per numero di ristoranti. Perché accanto ai locali classici, sono centinaia gli agriturismi con ristorazione.
Grosseto è la provincia italiana che ha più agriturismi in valore assoluto, sono oltre 1100 sui circa 4500 della Toscana, la Regione che ne ha di più. Sono nove i Comuni in Italia ad averne più di 100 e 2 su 9 sono in Maremma (Grosseto, Cortona, Castelrotto, Manciano, Appiano sulla strada del vino, San Gimignano, Montepulciano, Montalcino, Caldaro sulla strada del vino). Quasi il 40% di questi sono gestiti da donne e il rapporto fra clienti italiani e stranieri è 10 a 13. Quasi la metà degli agriturismi, in Toscana, offre il servizio di ristorazione.
Parliamoci chiaro: negli agriturismi si mangia spesso bene, cibo genuino e a prezzi mediamente più bassi. Perché le regole sono chiare, stabilite dalla legge regionale 23 giugno 2003, n. 30
La somministrazione di pasti, alimenti e bevande, comprese quelle a carattere alcolico e superalcolico, l’organizzazione di degustazioni e assaggi e di eventi promozionali è svolta con prodotti aziendali, integrati da prodotti delle aziende agricole locali, nonché da prodotti di origine e/o certificati toscani, nel rispetto del sistema della filiera corta.
In sostanza, anche un semplice tagliere di formaggi e salumi deve essere a km 0.
La Maremma, terra di prodotti tipici e genuini
Facile per i gestori degli agriturismi in Maremma, proporre ristorazione in questa terra generosa, così ricca di prodotti tipici.
Non ci sono solo olio e vino, che pure sono di altissima qualità, da provare l’Evo di olivastra seggianese e il Morellino di Scansano, ma anche formaggi, salumi, carne, frutta, verdura, anche numerosi presidi slow food, arrivando fino alla laguna di Orbetello, dove la bottarga (di muggine) non ha nulla da invidiare a quella sarda, anzi ha un sapore più delicato. Provatela a scaglie sugli spaghetti alle vongole…
In Maremma la ristorazione negli agriturismi ha più varianti. Ci sono aziende organizzate come un vero ristorante e ce ne sono altre che offrono solo semplici degustazioni. Altre sono una simpatica via di mezzo, con i clienti che scelgono dal menu affisso al muro e poi si fanno il servizio da soli, quando il cuoco chiama il loro nome.
Tortelli di ricotta, pici, cinghiale, pilastri di una cucina verace
I pilastri attorno a cui ruotano i menu degli agriturismi sono fondamentalmente tre: tortelli di ricotta, pici, cinghiale. Potete girarne quanti volete, ma i pici al sugo, i tortelli maremmani di ricotta e spinaci e il cinghiale in umido li troverete ovunque.
I pici sono un piatto povero, una pasta fresca fatta con acqua farina e sale, simili a spaghetti più grossi. Alcuni studiosi sostengono che siano di origine etrusca. Per la loro semplicità sono perfetti con qualunque condimento, dal cacio e pepe fino al sugo di cinghiale.
Il tortello maremmano è il re incontrastato della cucina maremmana. Alla base c’è la ricotta, che in Maremma è quasi sempre di pecora, al limite mista. Più saporita e intensa rispetto a quella vaccina. La sfoglia della pasta è fatta con farina, uova e un pizzico di sale. Tirata sottilissima.
Fin qui gli ingredienti in comune. Poi cuochi e cuoche hanno i propri segreti e le proprie regole, così che in due agriturismi vicini si possono trovare tortelli leggermente diversi.
Le varianti sono nel ripieno, che può essere con bietole oppure con spinaci, cotti al vapore e strizzati, in percentuali diverse rispetto alla ricotta, così da avere ripieni più o meno tendenti al verde. Ma una variante è anche nell’aggiunta di parmigiano o noce moscata, ma mai in percentuali così importanti da condizionare il sapore.
E le varianti sono anche nel “confezionamento” del tortello. La tradizione maremmana vuole che siano grandi “almeno come un pugno”, cioè ricavati con quadrati di sfoglia di almeno 10 cm di lato. E anche con un largo “marciapiede”, quella parte della pasta che viene schiacciata con la forchetta per chiuderli. Difficile trovarli più piccoli, possibile invece trovarli ancora più grandi.
E poi il condimento. Sia chiaro, in Maremma si mangiano al sugo, con tanto sugo. Di carne o di cinghiale. Ma si possono mangiare anche in bianco, burro e salvia.
Il cinghiale in Maremma non manca mai nei menu degli agriturismi. Qui la caccia è una tradizione, sono migliaia le doppiette che da novembre a gennaio, divise in squadre, praticano l’attività venatoria.
Ma la carne di cinghiale va saputa cucinare, decisiva è la marinatura. E servono tanta pazienza nella cottura, un sacco di odori, pomodori buoni, vino generoso, meglio se Morellino di Scansano. Poi qualcuno aggiunge anche le olive nere. Altri lo fanno in bianco, senza pomodoro. E non mancano le varianti, compresa una ricetta con le mele.
In una settimana di vacanza in Maremma si possono provare sette varianti diverse.
L’acquacotta e la scottiglia, i piatti poveri. Ma buoni
Un altro piatto che non manca in nessun agriturismo della Maremma, che sia sulla costa, al nord sulle colline metallifere, nella zona del Morellino, in quella del Tufo o a sud, fra Capalbio e l’Argentario, è l’acquacotta. Un piatto che si trova solo da queste parti e che un tempo era il piatto dei butteri, i cow-boys della Maremma.
Aldo Santini, indimenticato gastronomo, autore di tanti libri sulla cucina toscana, la definisce
“la zuppa più primitiva, la più semplice e in sostanza la più povera, quella che ha bisogno di meno ingredienti, i meno costosi, i più facili da reperire, che si è prestata più di ogni altra a divenire l’espressione di una famiglia, di una comunità, di un paese”
Si tratta di una zuppa di verdure con ingredienti che, per tradizione, venivano raccolti nei campi e abbinati a del pane di grano duro non salato, il tutto condito con del buon olio extra vergine di oliva. Ci vanno sedano e cipolla, mai il pomodoro. Ma qualcuno ci aggiunge un uovo.
La scottiglia è un piatto povero, le cui origini risalgono al Medioevo, forse anche agli Etruschi. Certo è che è nato in un contesto in cui le famiglie mettevano insieme gli avanzi della carne, di pollo, di maiale, di vitello, il pane raffermo, qualche odore dell’orto per una zuppa che desse tanta sostanza. Sapete perché si chiama scottiglia? Perché per insaporire la carne veniva scottata sulle pareti del tegame, prima di aggiungere gli altri ingredienti. Da provare, è una delizia.
QUI – La ricetta della scottiglia
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Direttore di MaremmaOggi. Dopo 30 anni di carta stampata ho capito che il presente (e il futuro) è nel digitale. Credo in MaremmaOggi come strumento per dare informazione di qualità. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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