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La Resistenza è sempre stata donna. La parola alla storia

Aida Borghigiani, Virginia Cerquetti, Mariella Gori, Norma Parenti e Wanda Parracciani sono le grossetane che hanno salvato l’Italia dai fascisti
In alto a sinistra Mariella Gori, in basso Norma Parenti. Poi da sinistra Virginia Cerquetti e Aida Borghigiani
In alto a sinistra Mariella Gori, in basso Norma Parenti. Poi da sinistra Virginia Cerquetti e Aida Borghigiani

GROSSETO. Le hanno sottovalutate, facendole diventare  una parte fondamentale della Resistenza. Il gioco della vittoria delle partigiane era proprio questo: una partita a scacchi basata sull’astuzia e su quanto i nazisti e i fascisti le sottovalutassero solo perché erano donne.

Oggi purtroppo non se ne parla molto del ruolo che hanno avuto nella Resistenza. Raccogliere informazioni, scrivere messaggi fondamentali e nasconderli in cestini di vimini, salvare vite umane, nascoste nella macchia maremmana pronte a combattere e sfidare le autorità fasciste.  Facevano questo le donne Resistenza. E quegli avvenimenti devono essere ricordati: per questo nasce il progetto “Resistenze, femminile plurale. Storie di donne in Toscana”.

Il progetto mira a raccontare le storie di 50 partigiane toscane, di cui cinque grossetane, per ricordare chi ha liberato l’Italia il 25 aprile dall’occupazione nazifascista. Una copia del libro è stata consegnata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Vannino Chiti consegna il volume a Mattarella

Le grossetane della Resistenza

Aida Borghigiani, Virginia Cerquetti, Mariella Gori, Norma Parenti e Wanda Parracciani sono le 5 partigiane di Grosseto raccontate nel libro. Donne che hanno sfidato l’autorità fascista, combattuto con le unghie e con i denti, passato messaggi alla Resistenza e giocato un ruolo fondamentale nella liberazione della provincia di Grosseto. Storie che sono raccontate dall’Isgrec, l’istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Aida Borghigiani

 

Aida decise di lasciare casa sua nella piccola frazione mineraria di Niccioleta per attraversare la linea del fronte ed avvisare le famiglie di 26 ostaggi arrestati dopo la strage del 16 e 17 aprile 1944. Quelle stesse persone che ha curato e nutrito durante la prigionia. Mentre rientrava, esplose una bomba e i detriti la colpirono a una gamba, ma questo non la fermò e attraversò il fronte.

Nel dopoguerra è stata riconosciuta come patriota dalla banda “Camicia rossa” di Massa Marittima e solo molti anni dopo le fu data la medaglia di bronzo al valor militare.

Virginia, invece, reclutava leve per la banda e rimase nella macchia fino all’ultimo al fianco del marito e comandate Arancio. Partorì lì sua figlia Annabella davanti una capanna nella zona di Montauto. Ed era pronta ad imbracciare la mitraglia nei momenti cruciali  partecipando anche al sabotaggio di diversi ponti.  

Virginia Cerquetti con in braccio la piccola Annabella davanti al comando della Banda Arancio 

Le storie di Mariella, Norma e Wanda

Mariella, nata in una famiglia di antifascisti, era di Manciano ed era una staffetta. Con sé aveva sempre una pistola Beretta. Raccoglieva informazioni, vestiti e viveri per i partigiani e reclutò medici per la banda. «Nella macchia c’era grande rispetto per noi donne, mentre in paese ci vedevano come delle poco di buono», ha ricordato in un’intervista.

Mariella Gori balla col sindaco di Manciano il 1° maggio 1945

Un ruolo rischioso, quello di Mariella, che ha ricoperto anche Norma Parenti, che si è guadagnata la medaglia d’oro al valor militare in memoria. Norma sfidò le autorità fasciste, ricomponendo il corpo dilaniato e organizzando il funerale di un giovane partigiano, Guido Radi detto Boscaglia. Il cadavere di Boscaglia era esposto sulle scalinate del duomo di Massa Marittima.

I nazisti e i militanti fascisti uccisero Norma per il suo coinvolgimento con i partigiani di Massa Marittima il giorno prima della liberazione della città

Norma Parenti

Wanda era parte dell’undicesima cellula gappista di Santa Fiora, a lei e altri due studenti fu dato l’ordine di rimanere in paese per controllare i movimenti dei fascisti e per non lasciare la banda isolata nel bosco. Ma con il tempo decise di mettersi alla macchina da scrivere e stampare “Il comunista dell’Amiata“, una testata clandestina in preparazione all’insurrezione e insieme ai suoi compagni diffuse manifesti antifascisti e svolse attività di sabotaggio

La storia che sta sbiadendo

Queste cinque donne hanno giocato una partita a scacchi con i nazifascisti, mostrando la loro forza. Si sono sacrificate, hanno deciso di imbracciare la mitraglia e di essere la Resistenza. Le loro storie spesso sono dimenticate, ma dovrebbero essere sempre ricordate, perché sono una parte integrante dei gruppi e delle cellule che ci permettono oggi di vivere nella democrazia

Si parla di donne coraggiose, che con dedizione e fervore hanno combattuto una guerra che sembrava persa in partenza. Hanno sacrificato la loro vita per diventare un simbolo, hanno alzato la testa e hanno combattuto con la mitraglia in spalla, con le parole e con i fatti l’oppressore nazifascista. Loro sono una parte fondamentale della storia.

Eppure le loro storie si stanno sbiadendo e per questo progetti come “Resistenze, femminile plurale. Storie di donne in Toscana” sono fondamentali.

«Ci sono alcune decisive pagine di storia che sono state colpevolmente messe in secondo piano – hanno spiegato le storiche Ilaria Cansella e Francesca Cavarocchi – Sono quelle che riguardano il ruolo delle donne nella guerra di Liberazione dal nazifascismo. Il progetto rappresenta l’inizio di un percorso di recupero della loro storia che continuerà nei prossimi mesi e nei prossimi anni».

 
Da sinistra: Ilaria Cansella e Francesca Cavarocchi

 

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