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La provincia che si spopola: 10mila lavoratori in meno in undici anni

La Cgil provinciale mette in allarme sull’inverno demografico della Maremma grossetana. Un’emorragia dovuta all’invecchiamento della popolazione, alla diminuzione delle nascite e dalla fuga dei cervelli. Fondamentale «ridefinire il nostro modello di sviluppo»

«Negli undici anni tra il 2012 e il 2023 la provincia di Grosseto ha perso 4.274 residenti, ma soprattutto 10.708 persone nella fascia d’età 15-64 anni che l’Istat classifica come in età lavorativa: la denuncia arriva dalla segreteria provinciale della Cgil. Un dato statistico che mette drammaticamente in evidenza quanto in questo territorio incida quello che oramai tutti chiamano “inverno demografico”. A sua volta conseguenza di tre fenomeni da noi particolarmente evidenti: invecchiamento della popolazione, diminuzione delle nascite e fuga dei cervelli, ovverosia della quota di popolazione giovane più istruita.

Questa modifica strutturale della nostra demografia, purtroppo, ha effetti immediati ed eclatanti su due aspetti determinanti per la qualità della vita delle persone. «Da una parte – spiega la Cgil – ci avviciniamo pericolosamente al momento in cui coloro che lavorano non saranno abbastanza per continuare a garantire il pagamento delle pensioni a chi si è ritirato. Dall’altra, va rivisto il parametro di assegnazione delle risorse ai servizi sanitari al nostro territorio, perché la popolazione ultrasessantacinquenne – notoriamente afflitta da patologie croniche invalidanti in misura molto più elevata – incide in maniera molto più pesante sulla spesa sanitaria».

Cosa succede nel capoluogo

Nella città di Grosseto, ovverosia il capoluogo dove per antonomasia sono più diffusi i servizi sociosanitari, nei suddetti undici anni a fronte di un incremento di 3 mila abitanti residenti (da 78.630 a 81.633), si è verificata una riduzione di 1.220 potenziali lavoratori (da 52.523 a 51.033), compresi nella fascia di età Istat 15-64 anni. Con un incremento di 2.907 ultrasessantacinquenni e 1.316 ultraottantenni».

Citati i numeri, la segretaria della Camera del lavoro Monica Pagni aggiunge: «Questa pur breve analisi mi porta a concludere che rispetto ai temi dello sviluppo economico e della spesa sanitaria pro-capite è controproducente sia sottolineare trionfalmente che l’occupazione è in crescita, sia che l’assegnazione delle risorse alla nostra Ausl è la migliore possibile perché la spesa sanitaria è aumentata in termini assoluti, ma non in relazione al Pil. Parafrasando Pierluigi Bersani in una delle sue riuscite metafore: “se uno calcola i soldi della sanità sulla cifra assoluta e non in percentuale sul pil, è come se a sei anni a un bambino gli metti una scarpa del venticinque, quando è cresciuto ed ha diciotto anni gliene dai una del ventisette e gli dici: ti ho dato due misure in più! Si, ma a me tocca tagliarmi un pezzo di piede!”».

 

Servizi sanitari: una «situazione tragica» secondo Cgil

«Rimanendo così le cose, i servizi sanitari sul territorio non sono migliorabili e la situazione rimane tragica – dice la segreteria – con numerose zone non coperte dal medico di base. Perché il sistema si regge, male, sui medici di medicina generale che hanno accettato di aumentare il numero degli assistiti, con la conseguenza che per andare dal tuo medico devi aspettare anche 8-9 giorni. Cosa che spiega come mai i pronto soccorso sono intasati».

In assenza di servizi adeguati, inoltre, la popolazione, soprattutto anziana, continuerà a spostarsi dalle aree periferiche al capoluogo o negli altri centri urbani più grandi, alimentando la dinamica dello spopolamento delle aree interne e aggravando i costi sociosanitari nei centri maggiori. Per questo va drasticamente cambiato l’approccio dello Stato che sottofinanzia la sanità, e quello della Regione che continua a ripartire le risorse in modo uguale tra territori disuguali.

 

Necessario ridefinire un modello di sviluppo

Infine, un’ultima considerazione sullo sviluppo economico. «In una provincia col reddito medio pro-capite di appena 16euro all’anno, con solo il 12 percento dei nuovi contratti a tempo indeterminato, e una difficoltà cronica delle aziende a trovare personale, spesso perché non qualificato – spiega la segreteria provinciale – forse sarà il caso di iniziare a preoccuparsi seriamente di ridefinire il nostro modello di sviluppo. Insistere nel puntare sul lavoro povero e su comparti che non redistribuiscono la ricchezza, ostacolando manifatturiero e sviluppo delle fonti rinnovabili che creino posti di lavoro buoni, è infatti una scelta suicida. Perché continueremo – conclude – ad essere poco attrattivi per la popolazione in età lavorativa, assomigliando sempre di più a un grande pensionato diffuso».

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