GROSSETO. Per terra, in piazza Duomo, resta soltanto il segno rosso dei fumogeni accesi dopo che le salme di Roberto Seripa e di Nilo Naldini sono partite sui carro funebri. L’ultimo omaggio è stato quello che i tifosi del Grosseto hanno voluto tributare al loro amico Antonio Panico. Uno striscione, il coro da stadio.
Il buio a mezzogiorno sulla strada
Sono entrati uno dopo l’altro, i feretri dei tre ciclisti, dei tre amici morti nel tragico incidente di giovedì 14 luglio a Braccagni. Roberto Seripa, Nilo Naldini, Tony Panico forse per la prima volta si sono trovati uno accanto all’altro nella Cattedrale di Grosseto che lunedì 18 luglio non ce la faceva a contenere il dolore di chi ha dovuto dire addio troppo presto ai tre ciclisti. Le lacrime e i singhiozzi dei familiari, gli abbracci e le carezze si sono concentrate nelle prime file di panche.
Poi, dietro, gli amici, i colleghi, i ciclisti, le persone con le quali i tre amici condividevano le loro passioni. Nessun rumore, durante la celebrazione, tranne quello, continuo e costante dei ventagli che servivano quasi più ad asciugare gli occhi dalle lacrime che per fare fresco.
Rose rosse sul coperchio della bara di Seripa, fiori colorati su quello di Naldini, due maglie dell’US Grosseto, la sciarpa dei tifosi e il giubbino dell’Humanitas su quello di Panico: intorno a loro, le note della sonata n°2 in Si bemolle minore di Chopin.
«Tiriamo fuori la fede cristiana che abbiamo dentro di noi – ha esortato subito il vescovo Giovanni Roncari – Ognuno ne avrà una propria alla quale attingere. Ora è il momento giusto per farlo». Poi il Vangelo di Luca e la rivelazione della resurrezione, quando, tre giorni dopo la morte di Gesù, gli apostoli trovarono la pietra del santo sepolcro spostato e nessun corpo dentro. «Quel buio a mezzogiorno che si legge nel Vangelo – ha detto il Vescovo – lo hanno trovato i nostri amici durante un bellissimo momento di ricreazione. Il perché non lo sapremo mai. Possiamo soltanto oggi rendere gloria a Dio per qualche opera buona. Tutti potete trovare un motivo per ringraziare il Signore per la loro vita. Il fatto che li abbiate conosciuti, che abbiate condiviso con loro tre un pezzo di questo viaggio è un motivo per rendere grazie. È buono, è bello, è dignitoso. Ora dobbiamo trovare dentro di noi il motivo di vivere».
In migliaia per l’ultimo saluto ai tre amici
Due ali di volontari delle associazioni, subito fuori dal Duomo, hanno circondato la piazza e i tre carro funebri come se si trattasse di un abbraccio. Quando le bare hanno varcato, una dietro l’altra, il portone della Cattedrale, le sirene delle ambulanze hanno cominciato a suonare.
Chi aveva trattenuto le lacrime fino a quel momento, è scoppiato in un pianto liberatorio che si è trasformato in un attimo in un grande applauso. Un rumore, quello del battito delle mani delle centinaia di persone che erano in piazza che sembrava voler mandare un messaggio a Roberto, ad Antonio, a Nilo: siete e resterete sempre con noi.
Poi, uno dopo l’altro, le auto delle agenzie di onoranze funebri, sono sfilate via lasciando in piazza soltanto il dolore, la disperazione e il ricordo.
Il pensiero rivolto a De Nunzio
La folla commossa che lunedì 18 luglio si è fermata per salutare i tre amici non si è dimenticata di chi ancora oggi lotta tra la vita e la morte nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Careggi a Firenze.
Tommaso De Nunzio, 66 anni, è stato caricato su Pegaso subito dopo il terribile incidente di Braccagni. Le sue condizioni sono stabili. Nel bisbiglio dentro e fuori dal duomo, tante parole erano rivolte a lui. E anche la speranza dei tanti amici, che aspettano soltanto il giorno di poterlo riabbracciare.
Autore
-
Redattrice di MaremmaOggi. Da bambina avevo un sogno, quello di soddisfare la mia curiosità. E l'ho realizzato facendo questo lavoro, quello della cronista, sulle pagine di MaremmaOggi Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
Visualizza tutti gli articoli