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Hockey, da tifoso a ds: Simone Pantani si racconta

Dalla rivalità con il Viareggio alla voglia di far crescere la rosa dei ragazzi che vestono la maglia azzurra
Simone Pantani durante una partita del Galileo

FOLLONICA. Simone Pantani, classe 1970, da sempre vive l’hockey a Follonica e proprio per la società del Golfo svolge il ruolo di dirigente e direttore sportivo dal 2011. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia e quella della Asd.

Come ti sei avvicinato allo sport dell’hockey e come sei arrivato al tuo ruolo di direttore sportivo?

«Diciamo che la mia è una storia alquanto atipica visto che non ho mai giocato ad hockey. Personalmente vengo dal mondo del calcio; la mia carriera calcistica però si fermò a causa di un infortunio ma fin da piccolo ho seguito l’hockey; il mio ricordo più lontano legato allo sport risale a quando avevo solo 4 anni. Indubbiamente però quello che mi ha sempre spinto a seguire come tifoso accanito lo sport è stata l’amicizia con un giocatore follonichese, Gabriele Mazzetti. Quindi diciamo che, nonostante giocassi a calcio, l’hockey é sempre stato parte della mia vita. Venni inserito all’interno dell’organico del direttivo come rappresentante della tifoseria nel 2010 e di lì a poco venni nominato, con mio grande stupore, direttore sportivo. L’inizio non fu dei più facili, la società non navigava in buone acque dal punto di vista economico dopo un periodo strabiliante come quello degli “immarcabili”, le scelte da fare non furono facili ma le difficoltà vissute in quel periodo mi danno la forza di guardare avanti con maggiore serenità».

Un periodo sicuramente non facile per tutti gli sport é stato quello della pandemia, come avete affrontato il Covid?

«La differenza per tutta la disciplina per noi è stata il diretto intervento della nostra Federazione che ha fornito gratuitamente a tutte le società di serie A1 e A2 i tamponi, permettendoci così di giocare sempre in completa sicurezza e di vedere concluso un campionato composto da 14 squadre. Ovviamente non è stato facile, soprattutto dal punto di vista psicologico dato che la vita era veramente ridotta al tragitto casa-palazzetto per gli allenamenti».

A proposito di squadre, Follonica ha una rivale storica e ci sono degli aneddoti divertenti…

«La rivale di Follonica è il Viareggio con la quale i derby sono sempre stati accesi, ma sicuramente belli per tutti i tifosi, ed è per questo che non vediamo l’ora che tornino in serie A1 e regalare a tutti un bello spettacolo. Di aneddoti ce ne sono tantissimi: non basterebbe una giornata per raccontarli tutti».

Com’è cambiato lo sport da quando hai assunto il ruolo di direttore sportivo?

«In primo luogo bisogna ricordare quella che è stata l’enorme rivoluzione apportata dal cambiamento radicale alle regole di gioco attuata dalla Federazione circa 8 anni fa. Parlando proprio del gioco invece mi sento di dire che prima, i tempi in cui ero solo tifoso, le società potevano vantare di possedere dei veri e propri fuoriclasse e più tecnici, ora il gioco è senza ombra di dubbio invece più veloce. Per farti un esempio concreto che collega i due punti che ti ho appena detto mi ricordo dei tempi di Raul Micheli che era appunto un fuoriclasse, l’ho visto giocare con un possesso palla di 23 minuti su 25 di gioco, cosa questa non più possibile proprio a fronte delle modifiche apportate 8 anni fa. Un altro punto che mi sento di sottolineare è che prima il gioco era decisamente più fisico mentre adesso il contatto non è consentito».

Quali sono le ambizioni del Follonica Hockey per il futuro?

«Sicuramente la sfida più vicina nel futuro è l’inizio del campionato confermando la posizione vista anche la campagna acquisti portata avanti dalle altre squadre che si sono rinforzate. Se dovessi proiettarmi nel futuro anteriore, l’ambizione più grande è la crescita e lo sviluppo della nostra rosa e del settore giovanile, tema questo caro al nostro presidente, Massimo Pagnini. Possiamo dire con enorme orgoglio che solo tre giocatori su undici sono stati chiamati da fuori, i restanti sono tutti ragazzi nati e cresciuti nella nostra realtà e questo ovviamente li porta a vivere lo sport e a sentire un attaccamento ai colori della maglia e alla città che rappresentano soltanto da lodare e che rende facile, anche per me, il lavoro di spogliatoio».

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