ROCCASTRADA. Oggi, 27 gennaio, è la Giornata mondiale della memoria. Una giornata in cui tutti dovrebbero ricordare quello che è stato l’orrore del nazifascismo. Ebrei, omosessuali, nemici politici, partigiani, la popolazione sinti, polacchi e chiunque andasse contro il regime è stato abbandonato in un campo di concentramento. In quelle strutture dove c’erano solo vie disumane da percorrere: diventare una cavia per gli esperimenti, morire nelle camera a gas, di stenti, di malattia o fucilati.
Alle 11,30 al Seminario vescovile di Roccatederighi, il sindaco di Roccastrada Francesco Limatola, la sezione Anpi locale e l’Isgrec organizzano una cerimonia alla lapide che ricorda l’istituzione del campo di internamento per ebrei nel seminario. Campo di internamento allestito nel novembre del 1943. «La Repubblica sociale italiana decise di allestire strutture per la deportazione a livello provinciale – dice la storica Luciana Rocchi – La cosa singolare nel nostro territorio è che il campo era nel seminario del vescovo Paolo Galeazzi a Roccatederighi».
Probabilmente il vescovo aveva due obiettivi: provare a tutelare quelle persone e lavorare per la conversione degli ebrei. «Il campo di Roccatederighi ha rinchiuso fra le sue recinzioni circa 100 persone, di cui 38 sono partite per i lager. Di queste ne sono sopravvissute 5 – dice Rocchi – Non ci furono veri e propri arresti violenti nel grossetano: in molti si sono presentati spontaneamente nelle piazze. Generalmente erano coloro che non sapevano cosa li aspettava».
Il seminario della chiesa
Nel novembre del 1943 il presidente della Provincia Alceo Ercolani iniziò ad allestire il campo di internamento, due settimane prima della circolare numero 5 di polizia, che dava il via alla costruzione dei campi di prigionia. La struttura aveva camere da letto con letti a castello, una cucina, una sala da pranzo e i bagni. Tutto contornato da recinzioni con il filo spinato.
«C’erano i miliziani a controllare l’area, sembrava che aspettassero un attacco da un momento all’altro – dice la storica – C’era una precisa volontà delle autorità civili e militari fasciste di costruire il campo di concentramento. I documenti sono andati persi o sono stati distrutti e ad oggi esistono pochi atti, fra cui il contratto d’affitto della struttura».
Motivo per cui le testimonianze sono state fondamentali, come lo è stato l’aiuto di don Franco Fanciulli. «Per ricostruire la storia di ciò che è successo a Roccatederighi ci siamo basati sulle testimonianze dei sopravvissuti – dice Rocchi – Non è stato semplice, ma abbiamo ricostruito una parte della storia».
In Italia i ghetti e i centri di raccolta erano distesi in modo capillare su tutto il territorio: la maggior parte delle province ne aveva uno. E venivano allestiti in strutture già adibite al contenimento di persone, per questo il seminario della chiesa è uno dei luoghi più particolari in cui il regime ne ha allestito uno.
38 detenuti, 5 sopravvissuti
A Pitigliano c’era una fiorente comunità ebraica che ha iniziato ad abbandonare il territorio dopo le leggi raziali del 1938. Si sono spostati verso Firenze e Livorno per cercare un rifugio. Proprio per questo non ci sono state deportazioni coatte: agli ebrei veniva chiesto di presentarsi in piazza e poi venivano deportati.
In molti si sono presentati non sapendo quello che li aspettava fra quelle recinzioni. Altri sono scappati grazie all’aiuto della comunità. «A Civitella Paganico alcuni paesani hanno aiutato gli ebrei a rifugiarsi – dice Rocchi – Li hanno nascosti dove lavoravano i boscaioli e li aiutavano a sopravvivere, portando loro cibo e acqua. I militari non li hanno mai arrestati».
Circa 100 persone hanno rischiato di morire e hanno vissuto la prigionia, solo perché ebrei o non in linea con l’ideologia fascista. «Da Roccatederighi i detenuti partivano in direzione dei campi di sterminio e li morivano: dei 38 detenuti partiti ne sono sopravvissuti 5 – dice Rocchi – Tutti erano ebrei non della zona, perché per i militari era più semplice scegliere loro piuttosto che i maremmani».
La liberazione e le ricerche degli studiosi
Il 9 giugno del 1944 il campo fu liberato e solo nel 1994 sono cominciate le ricerche storiche per capire cosa fosse successo nel seminario. «Una testimonianza fondamentale è quella di don Franco Fanciulli, ci ha aiutato a scoprire e a trovare i pochi documenti rimasti – dice Rocchi – Il parroco era un seminarista in quel periodo e ci ha raccontato la loro convivenza con gli ebrei. Si ricordava benissimo che gli ebrei stranieri avevano paura: sapevano ciò che aspettava loro nei campi di sterminio».
Le voci di Elena Servi, Ariel Paggi e la famiglia Nunes sono solo alcune delle molte che hanno permesso di ricordare una parte di questa storia. Tutte le loro testimonianze parlano di una follia che oggi rischia di essere dimenticata. Una memoria che si sta dissolvendo lentamente.
Lo scrittore maremmano Sacha Naspini ha scritto un libro ambientato nel 1943, “Villa del seminario“, e si è ispirato a ciò che è successo nel campo d’internamento nel seminario di Roccatederighi. Il libro è stato candidato al Premio Strega del 2023 e parla di René, un eroe per caso che crea una rete di resistenza proprio fra quelle mura.
Un viaggio nella disperazione
Un treno che parte e che va. La destinazione è la fine di tutto, del dolore, della gioia. Al capolinea c’è il buio, la morte e la fame in attesa dei passeggeri. Non c’è un raggio di sole pronto a scaldare o un sorriso caloroso, c’è la paura di sopravvivere al giorno dopo e il bruciore del ghiaccio.
Tutti ammassati in vagoni, non importa che siano ebrei, giovani, partigiani, sinti o polacchi, uomini o bambini.
La fine di quel viaggio è una stanza chiusa in un villaggio con delle recinzioni insormontabili. Poi qualcuno spinge un bottone o abbassa una leva. C’è del vapore incolore, piano piano le persone si stancano. Qualcuno urla, altri si sono arresi. Così si spenge tutto, non ci sono né colori né rumori.
I soldati prendono i corpi ammassati ed esanimi. Li buttano in delle fosse profonde, ma non li seppelliscono: li bruciano.
I fumi dei corpi si alzano, il circolo continua, la vita si spenge e il treno riparte.
Autore
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Collaboratrice di MaremmaOggi. Amo le bollicine, rigorosamente in metodo classico; il gin e credo che ogni verità meriti di essere raccontata. Non bevo prosecco e non mi piacciono né i prepotenti né le ingiustizie. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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