Gli Etruschi sono tornati e fanno gioielli bellissimi | MaremmaOggi Skip to content

Gli Etruschi sono tornati e fanno gioielli bellissimi

Da oltre quarant’anni Gianni Trilli utilizza la tecnica delle antichissime oreficerie etrusche per creare fibule, orecchini, collane, armille. Sono 30 i pezzi della sua collezione: «Ora ho un sogno, esporla in un museo»
Gianni Trilli con alcune delle sue creazioni

GROSSETO. Il sogno è quello di vedere l’intera collezione che ha realizzato nel corso degli anni esposta in un museo pubblico, lì dove dovrebbe stare. E dov’è già stata, facendo impazzire il pubblico, al Museo archeologico di Grosseto, nel 2001.

«In 20 giorni, vennero a vedere la mostra più di 4mila persone», spiega Gianni Trilli.

E per due volte, la mostra dei gioielli realizzati da Trilli, è stata ospitata al Muvet, il museo archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia

Fino a quando questo sogno non diventerà realtà, una piccola parte della collezione è custodita in una teca nell’oreficeria Trilli, in via Mazzini. C’è la riproduzione fedele della collana rubata nel Museo archeologico di Grosseto nel 1954, ci sono un orecchino e una fibula, c’è un’armilla.

Tutte realizzate con le tecniche della lavorazione dell’oro etrusche e con gli strumenti dell’epoca

A 13 anni nel laboratorio di Lucio Parigi

La fortuna di Gianni Trilli è cominciata quando, nel 1977, a soli 13 anni, è entrato nella bottega di Lucio Parigi. Artista, cesellatore, partigiano: realizzava collane e statue etrusche e insegnava al giovane Gianni, allora poco più che un bambino, il mestiere dell’orafo.

«Non ero andato a lavorare nella sua bottega perché avevo una passione particolare – racconta Trilli – ma per imparare un mestiere. Avevo 13 anni e mezzo e quando andai per fare il primo versamento all’Inps, che non era ammesso fino ai 14 anni, nella ricevuta scrissero “non quantificabile”». 

Dalla bottega di Parigi passavano però artisti di fama mondiale, come Renato Guttuso. E in ogni momento si respirava l’arte, la conoscenza, la bellezza. «Mi ricordo di Aldo Mazzolai, l’archeologo, che veniva lì a pesare il materiale trovato negli scavi – dice – materiale che per la maggior parte era di origine etrusca». 

La vita di Trilli sembrava segnata da più fattori: gli incontri con gli artisti e gli studiosi nella bottega di Parigi, la sua abitazione a Roselle, le scorribande con gli amici, tra la chiesa della frazione e il Tino di Moscona.

«Era come se fossi sospeso nel tempo e nello spazio – ricorda – Spesso trovavamo reperti per terra, respiravamo gli stessi odori, le stesse essenze degli etruschi. È come se in qualche modo, quella civiltà facesse parte di ciascuno di noi». 

Quarant’anni di studio per una sperimentazione unica 

Ogni orafo che si rispetti, spiega Trilli, prima o poi si imbatte nell’arte etrusca.

«Erano un popolo dove i gioielli, gli ornamenti, avevano un ruolo fondamentale – dice – non soltanto come abbellimento, ma per motivi politici e religiosi, per arredare le tombe, arricchendo così il corredo funebre del caro estinto. Poi però, le cose cambiano e i gioielli vengono utilizzati sempre di più in vita: è per questo che comincia una produzione quasi seriale, Quella che invece ho studiato io per vent’anni, è quella realizzata con le antiche tecniche etrusche». 

Tecniche che non prevedevano, ad esempio, l’uso della saldatura. È un esperimento riuscito quello nato in quarant’anni di studio e di tentativi: insieme ad Aldo Ferdinandi, autore del libro “L’orafo etrusco”, Trilli comincia a realizzare gioielli identici agli originali. «La nostra è stata la prima sperimentazione di questo tipo – racconta – per ricreare gioielli etruschi originali. Alla vista di un esperto, non c’è differenza, se non per la data di realizzazione».

Per farlo, Trilli e Ferdinandi hanno attinto dalle fonti letterarie dell’epoca, prendendo spunti qua e là, dove venivano trovati. E oggi, quei gioielli realizzati nel laboratorio di Grosseto, sono tecnicamente perfetti. 

Fibule e orecchini a bauletto: l’oro degli etruschi

Erano due i gioielli che identificavano gli etruschi: la fibula, utilizzata per chiudere il mantello, piuttosto che per decorare le giacche e l’orecchino a bauletto, che poteva racchiudere anche profumi ed essenze. 

Mentre la fibula caratterizzava l’abbigliamento maschile, alle donne erano riservate le armille, i ferma trecce, le collane. Nella vetrina dell’oreficeria di Trilli c’è la riproduzione fedele di una collana che è esposta al British Museum, piena di ciondoli di forme diverse e di pietre preziose. 

«La quantità di oro utilizzato per fare questi gioielli è veramente irrisorio – dice Trilli – riusciamo a creare il massimo dei volumi con il minimo del materiale. I gioielli sono estremamente leggeri e anche versatili. Un’armilla, ad esempio, poteva essere trasformata in un collare o, chi ne possedeva due, poteva farci anche una cintura». 

Agghindate come le etrusche

Ci sono i “pezzi da museo” nella collezione di Trilli e ci sono invece i gioielli che si trovano in vendita nell’oreficeria. Gioielli realizzati con la stessa tecnica ma che nascono dalla fantasia del gioielliere per “vestire” le donne di oggi. Orecchini, collane, pendenti, anelli, spille. Un’esplosione di oro e pietre preziose che parlano il linguaggio dell’artigianato antico. 

 

La catena realizzata da Trilli

«La produzione di gioielli in stile etrusco – dice Trilli – negli anni precedenti la crisi aveva avuto un discreto successo, soprattutto in Toscana e nel Lazio e con mia moglie Claudia, da un po’ di tempo, abbiamo deciso di metterci di nuovo al lavoro per creare una collezione che sia ben differente dagli standard che vengono proposti dalle multinazionali». 

I gioielli realizzati da Trilli, tranne la collana di Vetulonia rubata nel 1954, sono tutte originali: e sono tutte realizzate utilizzando gli utensili dell’epoca, il martello e il piombo per battere l’oro, la punzonatura per realizzare la granulazione. 

«Dovremmo essere trattati come animali in via d’estinzione – dice Trilli – permettere che tutto questo finisca sarebbe davvero una perdita per tutti». 

Non solo oro: una passione chiamata sax

Trilli non è solo l’orafo che ha imparato la tecnica degli etruschi. È stato anche un grande collezionista di sassofoni e un musicista. Basta buttare un’occhiata dietro alla teca che racchiude i gioielli etruschi per trovarsi immersi nel mondo della musica. Del jazz, di quello suonato con strumenti difficili da trovare. 

Gianni Trilli con il sassofono di plastica

«Questa attività era cominciata come una passione – dice – poi è diventato un mestiere che mi ha fatto conoscere in mezza Europa». Nella collezione di Trilli c’è un sax di plastica, suonato da Hornett Coleman e Charlie Parker, ci sono strumenti incisi a mano che risalgono agli anni Venti. Anche questo, da un gioco, è diventato un lavoro». 

 

 

Autore

  • Redattrice di MaremmaOggi. Da bambina avevo un sogno, quello di soddisfare la mia curiosità. E l'ho realizzato facendo questo lavoro, quello della cronista, sulle pagine di MaremmaOggi Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma

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