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La favola di Andrea Ponsini: da Campiglia conquista Parigi

Andrea Ponsini, campigliese, è il nuovo direttore artistico del Salon de Montrouge: «L’Italia di Giorgia mi piace sempre meno, ma abbraccio la Val di Cornia»
Salon de Montrouge, nel riquadro Andrea Ponsini
Il Salon de Montrouge, nel riquadro Andrea Ponsini

CAMPIGLIA MARITTIMA. Da Campiglia Marittima a Montrouge, il percorso di Andrea Ponsini, tra arte, musica e progetti non si ferma e lo porta a girare in molti paesi diversi e creare eventi, mostre, giurie e premi.

Una carriera brillante la sua, che ora racconta a MaremmaOggi.

Andrea Ponsini, parigino nel cuore

Andrea Ponsini
Andrea Ponsini

Una laurea in semiologia nel corso di comunicazione, creato a Bologna da Umberto Eco, un master in Management Culturale Internazionale all’Università di Genova, un paio di stage tra Roma e Milano, una formazione multidisciplinare e completa a 360 gradi quella di Andrea Ponsini, campigliese di nascita e parigino nel cuore. 

Andrea, cosa l’ha portata a Parigi?

«A me non è mai riuscito rispondere alla domanda “cosa vuoi fare da grande?“. Forse perché, pur essendo molto alto, grande in fondo non ho mai avuto voglia di diventarlo. Ho sempre saputo, dentro di me, che questo era il posto dove volevo vivere. Il jazz, la letteratura, la bellezza, lo stile, il romanticismo: tutto mi attirava e mi chiamava qui. La sognavo la notte. Ma i parigini sono antipatici, ma costa cara, ma c’é troppa gente e altre mille scuse. Niente riusciva a fermarmi, mi sentivo inesorabilmente attratto da Paris, dalle sue contraddizioni, dalla sua atmosfera profondamente cosmopolita, dai suoi locali, dalla sua storia e da quella dei personaggi incredibili che l’hanno attraversata negli anni».

Le piace vivere a Parigi?

«La vera domanda non è se a te piace Parigi, ma se a Parigi le piaci tu. C’é una precisa tipologia di persone che lei ama, che vizia, che coccola e che porta in alto. Mi auguro di essere una di queste».

Il progetto a Montrouge

Di che cosa si è occupato a Montrouge?

«A Montrouge, che è un comune limitrofo alla capitale, ho lavorato all’inizio su un progetto visionario del sindaco Jean Loup Metton: costruire un network internazionale di città che facessero circolare una mostra di giovani artisti. Il piano era 10 città, ognuna con 10 artisti, per una biennale itinerante che facesse il giro di tutta Europa. Quando arrivai, di partners ce n’erano tre. Francia, Spagna e Portogallo e, dopo tre anni in cui ho lavorato qui, i partners erano diventati sette. Partendo dall’Italia, con Genova, poi ho preso contatti ed esportato la mostra a Amburgo in Germania, a Salisburgo in Austria, a Klaipeda in Lituania. Dopo cinque anni siamo arrivati a dieci partners con Ungheria, Polonia e Lettonia. E Montrouge mi ha fatto un contratto a tempo indeterminato». 

Che cos’è il progetto Jeune Création Européenne?

«Il progetto Jeune Création Européenne, così si intitolava questa rete di città dell’arte, mi ha portato a girare in molti paesi diversi e creare eventi, mostre, giurie, premi, residenze un po’ dappertutto. È una grandissima fortuna avere a che fare con la creatività e l’energia dei giovani artisti, e in più andare in giro per lavoro nel circuito diplomatico e di relazioni internazionali di città interessanti e piene di storia e di cultura. Con la crisi, il covid e il declino dell’Unione Europea, la rete JCE si è sciolta e Montrouge, fedele alla sua tradizione di città dell’arte contemporanea (qua la cultura si difende col coltello tra i denti anche nei più piccoli centri) ha rilanciato il suo Salon, puntandoci tutte le risorse, per farne un evento nazionale».

Adesso ne è diventato il direttore artistico.

«Questo salone d’arte, nato come mostra di pittura negli anni 50, ha attraversato i decenni adattandosi ai tempi e si è specializzato nella scoperta e nella promozione dei giovani artisti. È frequentato ogni anno da circa ventimila persone ed é entrato a far parte del panorama nazionale e internazionale dei grandi eventi d’arte contemporanea della stagione. Dopo averne accompagnato una decina di edizioni come coordinatore generale, l’attuale sindaco Etienne Lengereau mi ha proposto di assumerne la Direzione artistica nel 2024».

Cosa ama di più del suo lavoro?

«Quello che mi piace del mio lavoro è partire da un calendario e qualche decina, o meglio centinaia, di emails per ritrovarsi un anno dopo in mezzo a una mostra di mille metri quadri, con duemila persone al vernissage, artisti di tutto il mondo, professionisti dell’arte di Parigi e non solo, passando dalla selezione dei dossiers (40 su 2300 candidati) alla creazione della scenografia (con una collega architetta e scenografa per il teatro), alla programmazione di eventi in tutta la città, alla ricerca di partners e sponsors, alla concezione di momenti esclusivi piuttosto che all’ideazione di ateliers per i bambini e per le scuole. La dimensione corale del progetto é quello che mi affascina di più, insieme alla collaborazione con persone appassionate, di grande volontà e competenza». 

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Salon de Montrouge
Salon de Montrouge

«Spero di continuare a far crescere questo progetto e insieme di aprirmi anche a collaborazioni con altri luoghi e con altre realtà. L’Italia? Perché no, sarebbe un grande piacere e un onore tornare per prendere parte a un’iniziativa, un’avventura, un’idea. Fa un po’ tristezza, a dire il vero, l’Italia di Giorgia vista da qui. Sempre meno cultura, sempre meno scuola, sempre meno prestigio e sempre più chiacchiere, in nome del Made in Italy che purtroppo, in primo luogo, é composto dalle persone di valore che hanno studiato e si sono formate in Italia, per poi andare a lavorare all’estero e non tornare più».

Quali aspetti di Campiglia e dell’italianità ha portato con sé a Parigi grazie attraverso il suo impegno professionale?

«Il valore dei legami umani, unito alla dote di sapersi adattare alle circostanze e di trovare piacere nel proprio lavoro. I parigini sono molto più settati sul lavoro, più formali e meglio organizzati. A loro manca la fantasia propria degli italiani, la capacità di improvvisare ma soprattutto l’abilità di divertirsi lavorando».

«Ne approfitto per mandare un caloroso abbraccio a tutta la Val di Cornia, un luogo spettacolare che ha un posto speciale nel mio cuore, alla gente meravigliosa con cui ho avuto la fortuna di crescere e a Rosalba e Roberto, i miei genitori, che ancora ci vivono. Il sogno di mia figlia Zoé é di vivere lì, alla fine tutto torna ». 

 

Autore

  • Collaboratrice di MaremmaOggi.Nel giornalismo non esistono sabati né domeniche, non c'è orario e neppure luogo. C'è passione, c'è talento. Il mio lavoro è il mio sorriso. Da sempre curiosa, amo il sapere: più apprendo più vorrei conoscere. Determinata o testarda? Dipende. Vivo di sogni e li realizzo tutti.

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