GROSSETO. Sono 27 le pagine che compongono l’ordinanza del giudice Marco Mezzaluna, con la quale sono stati messi i sigilli ai locali dove arrivavano gli extraflussi dei fanghi, quelli che venivano acquistati dalla società e che però, una volta trattati, non garantivano in uscita gli stessi standard qualitativi che avrebbero dovuto rispettare. È per questo che si sarebbe quindi creato, secondo il giudice, un «quadro allarmante» del quale Adf avrebbe avuto piena consapevolezza.
Nel nuovo depuratore di San Giovanni, l’incremento di produttività dell’impianto «a fronte di una incapacità dello stesso di garantire, allo stato attuale, il mantenimento degli standard di depurazione dei reflui in uscita».
Una chiazza nera alla foce dell’Ombrone
C’è un’immagine, chiara, nitida, che racconterebbe, secondo la Procura, quello che è successo all’impianto di via delle Collacchie. Una foto che è ancora caricata su Google Earth, dove si vede una chiazza scura alla foce dell’Ombrone dove sbocca in mare attraverso il fosso dei Mulini. Corso d’acqua che sarebbe morto per la concentrazione di azoto superiore alla norma e che, secondo il consulente tecnico della procura, il geologo Giovanni Balestri della Socotec di Milano, «è da collegare con l’incidenza della nuova linea fanghi, la quale ha sostanzialmente alterato il ciclo di trattamento della linea liquami dell’impianto di Adf e ha portato a uno scarico nel corpo idrico recettore di un eccesso di carico organico».
Sono state proprio le analisi dei consulenti a far emergere che, proprio il nuovo impianto, inaugurato da Adf a maggio dell’anno scorso, sarebbe la causa degli agenti inquinanti finiti in mare, oltre che dei cattivi odori segnalati dai cittadini e dai comitati, che hanno presentato decine e decine di esposti a tutti gli Enti preposti.
Adf, secondo le risultanze delle indagini, sapeva quello che stava accadendo: l’Arpat, più volte aveva segnalato le maggiori concentrazioni di idrocarburi nei campioni prelevati ma la società avrebbe preferito pagare le sanzioni.
Tre indagati, ipotesi di inquinamento ambientale
Sono tre, al momento, i nomi iscritti nel registro degli indagati: per i cattivi odori e i trattamenti al depuratore. Michela Ticciati, responsabile del sevizio idrico integrato e Cristiano Capocci, responsabile dell’area erogazione Sii di Adf.
Secondo il sostituto procuratore Giampaolo Melchionna, che ha coordinato le indagini dei carabinieri del nucleo di polizia giudiziaria, i due non avrebbero adottato un sistema di controllo e abbattimento delle fonti dei cattivi odori, che hanno causato un notevole disagio e degrado a danno dei cittadini; di aver operato in modo tale da permettere che fossero superati i valori limiti di emissione nell’atmosfera autorizzati nel 2020 di sostanze come l’idrogeno solforato e l’ammoniaca oltre che di aver più volte scaricato nel fosso dei Molini – collettore Mortelle, le acque reflue del trattamento dei fanghi con concentrazioni di metalli pesanti (tra gennaio e novembre) e di aver causato un deterioramento significativo dello stesso corso d’acqua.
Con Ticciati e Capocci è indagata anche una ex dipendente della società che poi è passata al Comune. A lei viene contestato – insieme a Ticciati – il reato di abuso edilizio.
Adf sanzionata dall’Arpat
Adf, scrive il giudice nell’ordinanza, non poteva non sapere. L’Arpat infatti, aveva segnalato il superamento dei valori per l’idrogeno solforato e aveva chiesto alla Regione di intervenire per valutare la sospensione dell’attività.
Sospensione che è stata disposta, per il trattamento degli extraflussi che arrivavano quindi da fuori città e che venivano trattati nel depuratore, dal giudice Mezzaluna su richiesta del pm Melchionna. La società però, nonostante le sanzioni, non aveva fatto alcun intervento ma sapeva, ovviamente, che le concentrazioni erano oltre la norma.
Una situazione, quella creata dal nuovo impianto di depurazione, che sarebbe stata conosciuta, sempre secondo il giudice, anche dal Comune di Grosseto che però sarebbe intervenuto soltanto in caso di pericolo per la salute pubblica.
Il Fosso dei Molini quindi, secondo il consulente della Procura, era stato trasformato in un lungo scarico fino all’Ombrone: da qui passavano solo i reflui della lavorazione del depuratore e, solo incidentalmente, le acque meteoriche quando pioveva.
Ma la siccità della scorsa estate ha, di fatto, aggravato la situazione, facendo aumentare i livelli di sostanze, alcune delle quali ritenute inquinanti, che venivano scaricate in mare. I campionamenti sono stati fatti in quattro punti del Fosso: ma «la qualità del corso d’acqua è cattiva in tutte le stazioni di prelievo – scrive ancora il consulente Balestri – e si mantiene tale sino all’ingresso nell’area protetta».
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Redattrice di MaremmaOggi. Da bambina avevo un sogno, quello di soddisfare la mia curiosità. E l'ho realizzato facendo questo lavoro, quello della cronista, sulle pagine di MaremmaOggi Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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