GROSSETO. C’è “Moliendo cafè”, canzone scritta dal venezuelano Hugo Blanco quando aveva appena 18 anni, e cantata poi da Mina. C’è poi “Che cosa hai messo nel caffè?” di Riccardo del Turco o ancora “O’Cafè” di Domenico Modugno. E l’indimenticabile Fabrizio De André con “Don Raffaé” e la ricetta di Ciccirinella. Una colonna musicale che potrebbe proseguire ancora a lungo: il caffè, che si voglia o no, è sempre stato una superstar.
Peccato però che in Italia, la cultura del buon bere si perda spesso dietro ai banconi dei bar. A questo però stanno cercando di porre rimedio Luis Fernando Leandri insieme a Enrico Bodri e ai suoi figli Leonardo e Marco, titolari del Caffè Tubino che apriranno il prossimo febbraio la Tubino academy, una vera e propria scuola dove potranno formarsi i barman grossetani.
Ricerca e gusto dalle piantagioni alla tazzina
Luis Fernando Leandri ha 39 anni ed è nato in Brasile. Adottato da una famiglia grossetana insieme al fratello Carlos quando aveva 10 anni, diventato maggiorenne ha seguito i corsi per barman e bar tender, poi ha cominciato a lavorare nei locali. «Ma dopo anni passati a vivere di notte – dice – scambiandola per il giorno, sei anni fa mi sono messo a cercare un’alternativa che mi appassionasse. Il mondo del bar mi è sempre piaciuto e ho cercato qualcuno in Italia che potesse insegnarmi qualcosa sul caffè».
L’incontro con Andrea Antonelli e la sua Street coffe School a Cremona è stato quello che ha cambiato la vita a Luis. «Ho seguito i corsi di latte art e ho scoperto un mondo dietro alla tazzina del caffè – dice – per questo poi ho deciso di cominciare a lavorare in questo settore, per diffondere la cultura del caffè. Tanti, alla domanda su cosa sia il caffè rispondono che è una bevanda scura e amara, invece non è così: è un frutto che viene raccolto quando è al culmine della sua maturazione, che ha principi nutritivi importanti e che purtroppo spesso viene sciupato proprio da lavorazioni sbagliate». Un tostatore che non sa tostare, un produttore che miscela i chicchi maturi con quelli acerbi, un barista senza formazione che non sa estrarre e sciupa il prodotto. «È inutile avere ottime attrezzature e macchina all’avanguardia – spiega – se non si sa come utilizzarle nella maniera migliore».
La prima macchina per l’espresso è stata costruita in Italia nel 1884 dal torinese Angelo Moriondo. «Abbiamo un bel primato – dice – ma poi non lo abbiamo saputo mantenere. È inutile saper fare il latte art se poi la materia prima non è di qualità».
Una scuola per stare dietro al bancone
Luis parla dal Brasile. È a San Paolo in queste settimane e resterà là fino a febbraio. Sta visitando le piantagioni, sta vedendo quanto amore nel su Paese d’origine i coltivatori di caffè mettono nel loro lavoro, sta seguendo passo per passo la produzione.
E contemporaneamente sta insegnando latte art e caffetteria all‘Espresso academy, che ha organizzato questi corsi insieme a Sindicafè. «Per un anno ho tenuto le lezioni dell’Espresso academy a Grosseto, al bar Nerazzurro di Rispescia – dice – I corsi li facevo nel mio giorno libero. È stata davvero una bella esperienza e ora, insieme a Enrico, abbiamo deciso di aprire una scuola di formazione. Un barista deve essere pronto a rispondere a ogni domanda posta dal cliente, sia sull’attrezzatura che sul prodotto utilizzato. Sarà una scuola dedicata ai baristi, agli imprenditori, ai coffee lovers e ci sarà un’aula training, verranno fornite consulenze anche per le nuove aperture.».
È un mondo straordinario quello che si può scoprire dietro a una tazzina di caffè. Un mondo fatto anche di campionati mondiali organizzati dalla Speciality Coffee Association che ogni anno lancia il guanto della sfida ai baristi di tutto il mondo. «Il centro di tutto però resta la formazione – dice Luis – perché senza quella non si va da nessuna parte».
Il mestiere del barista è un mestiere difficile. «Non si tratta solo di fare un caffè e servirlo – spiega – Bisogna imparare a gestire i conti, bisogna occuparsi di marketing. Bisogna studiare, per fare un buon lavoro. E questa è la mission che ci siamo dati io ed Enrico: insegnare a chi vuole aprire un bar un mestiere bellissimo».
L’impegno per le adozioni
Luis Fernando Leandri non è soltanto un barman d’eccezione, un insegnante di latte art e caffetteria, un curioso e uno studioso del mondo del caffè. Collabora con l’Oab, l’Ordine degli avvocati del Brasile per testimoniare la sua esperienza di ex bambino adottato. «Soprattutto partecipo agli incontri con le famiglie che decidono di adottare – spiega – raccontando la mia esperienza. Molte famiglie sono intimorite quando si presenta loro l’occasione di adottare un bambino già grande. Io sono arrivato a Grosseto a 10 anni con mio fratello poco più grande di me e credo che la mia esperienza possa servire ad altri».
Leandro davanti all’orfanotrofio dove ha vissuto da bambino
Angelo Leandri e la moglie Manuela Conti, soranese lui e mancianese lei, a lungo insegnante al liceo, decisero di aprire il loro cuore ai due fratellini. Luis e Carlos vivevano ormai da sei anni in un orfanotrofio, l’Educandario Duarte, dove pochi giorni fa Luis ha deciso di tornare. La loro sorellina invece era stata adottata da una famiglia brasiliana. Luis l’ha conosciuta pochi anni fa, come la madre biologica. «Ho conosciuto mia sorella pochi anni fa, quando aveva già 18 anni – racconta Luis – Ho fatto come nel film “Lion”: sono entrato in Google Earth e ho ritrovato la mia famiglia. Cinque anni fa ho voluto incontrare la mia madre biologica». Ora nella sua terra di origine , in Brasile, Luis insegna e a Grosseto hanno la loro famiglia, quella che li ha voluti e amati più di ogni altra cosa.
«Ed è questa l’esperienza che con l’avvocata che ha seguito la mia adozione, Shirley Van Der Zwaan – racconta – cerco di portare alle famiglie che vogliono adottare. Affinché non abbiano paura di aprire la porta a bambini già grandi. È fondamentale però che la scelta dell’adozione sia una scelta fatta con grande responsabilità».
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