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Beretta conferma il no, chiude Sapori e gusto italiani

Il gruppo non fa passi indietro. Si punta alla nomina di un advisor per reindustrializzare il sito. 53 famiglie nel dramma
La sede di Sapori e gusto italiani
La sede di Sapori e gusto italiani

ORBETELLO. Per Sapori e gusto italiani, la ex Copaim, Beretta ha pronunciato la parola fine. Nell’incontro di mercoledì 22, al quale oltre a Flai Cgil e e Fai Cisl ha partecipato anche la Regione, con Valerio Fabiani, dell’ufficio di gabinetto del presidente Eugenio Giani con delega alle crisi aziendali, il gruppo di Trezzo sull’Adda ha ribadito l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Topaie, ad Albinia.

La richiesta alla Regione di partecipare al tavolo è arrivata solo la settimana scorsa e adesso, insieme ai sindacati, si cercano soluzioni per i 53 dipendenti dell’azienda. Il momento non è facile, perché di fatto, in azienda, la produzione è al momento quasi ferma. E si fermerà definitivamente dal 26 settembre.

«Come Regione – spiega Valerio Fabiani – abbiamo insistito fino all’ultimo perché prendessero una decisione diversa ma, di fronte alla loro ferma posizione, abbiamo chiesto una forma di responsabilità sociale, che consenta, oltre agli ammortizzatori sociali e alla possibile ricollocazione dei dipendenti, anche una collaborazione nella ricerca di investitori che consentano la reindustrializzazione di un sito che ha grandi professionalità e tecnologia».

Un advisor per trovare nuovi investitori

La richiesta principale, e da Beretta c’è stata disponibilità, è quella di “aprire” il sito per favorire nuovi investimenti, anche con la nomina di un advisor che, oltre a ricollocare i dipendenti disposti a muoversi, possa sondare il mercato alla ricerca di investitori. «Ma prima di tutto con un accordo sindacale, al tavolo c’erano Flai Cgil e Fai Cisl, vanno messi in sicurezza i lavoratori. Poi, i nostri uffici sono già in moto e l’azienda deve cooperare, vediamo di trovare qualcuno disposto a investire sul sito».

Un anno per trovare una soluzione

Così giovedì 23 i sindacati hanno avuto un nuovo incontro, stavolta in Confindustria. Dal 26 settembre si fermerà la produzione e i dipendenti andranno in cassa integrazione per un anno, quindi fino al 25 settembre del 2022.

Ora, però, è finito il tempo delle parole, perché 53 famiglie sono nel dramma, con qualcuna che ha due stipendi, marito e moglie, in questa azienda. E con le 53 persone rischia molto tutto il comparto industriale di Albinia.

Il quadro, con amarezza, lo traccia Pier Paolo Micci, della Flai Cgil: «Abbiamo un anno di tempo. Dodici mesi per trovare una soluzione per questa gente con cui parlo ogni giorno. Persone che hanno famiglia e anche tanta professionalità. È il momento che tutti, a partire dalla politica, di ogni parte, si mettano in moto per atti concreti. Di parole ne ho sentite anche troppe».

L’obiettivo è trovare qualcuno disposto a investire. «Abbiamo aperto un tavolo a livello regionale. Servono sinergie in questo momento. Fra dodici mesi le possibilità di restare in vita saranno pochissime. L’azienda è disponibile a dare tutte le referenze necessarie, è a disposizione per favorire tutte le possibilità. Ma andranno verificate e rese pratiche».

Il sindacato non ha intenzione di mollare: «Va utilizzato questo momento di crisi per ripartire, cambiando la proprietà. Ci sono professionalità importanti. Sono amareggiato in questo momento, vedo ogni giorno la sofferenza delle persone, i destini incrociati. Ma questo mi spinge ad avere maggiore impegno per far andare avanti questa esperienza. Non serve piangersi addosso, servono atti concreti. Io lotterò fino alla fine, questo è certo».

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