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Crolla la produzione di castagne sul Monte Amiata

Il raccolto è più che dimezzato. Se il Cinipide aveva messo a rischio i castagneti il cambiamento climatico rischia di essere ancora più pericoloso
Castagneto sul Monte Amiata, castagne
Un castagneto sull’Amiata

GROSSETO. È il cambiamento climatico a firmare il crollo della produzione di castagne sul monte Amiata.

Nemmeno il Cinipide galligeno era riuscito, nel 2014, a creare tanta incertezza nel futuro del settore pilastro dell’economia agricola di montagna. Un settore che rappresenta la principale fonte di reddito agricolo per moltissime aziende, così come per la filiera dei prodotti freschi e trasformati (farina) che arriva fino ai ristoranti e all’industria dolciaria.

A fornire un nuovo aggiornamento è Coldiretti Grosseto preoccupata per le conseguenze di una stagione molto negativa per le aziende agricole e per tutto l’indotto.

Il crollo della produzione di castagne

La produzione di castagne è più che dimezzata. Un danno enorme per un territorio che esprime la castagna del monte Amiata IGP, una delle cinque indicazioni che fanno della Toscana la regione regina dell’autunno. «È la stagione più difficile di sempre per la castanicoltura – spiega Simone Castelli, presidente Coldiretti toscana – Questa situazione mette a rischio la sopravvivenza delle aziende agricole che basano la loro sussistenza su questo prodotto che è stato ed è ancora tutt’oggi una primaria e fonte di reddito certa senza la quale è in forte discussione la continuità di molte imprese che con il lavoro, gli investimenti e la passione tengono viva la montagna».

«L’agricoltura, soprattutto per aree come quelle del Monte Amiata, tiene in vita paesi borghi e terreni che altrimenti rischiano di essere abbandonati – dice Castelli – con conseguenze sull’erosione e la tenuta idrogeologica ma crea anche le condizioni necessarie per il ricambio generazionale».

Castagne e cambiamento climatico

Del resto le previsioni della vigilia fornite dall’associazione nazionale “Città del castagno” avevano già anticipato la forte contrazione della produzione. La causa sono gli sfasamenti climatici che hanno mandato in tilt la natura. Le abbondanti piogge di maggio e giugno hanno condizionato pesantemente l’allegagione dei fiori, che è il passaggio dal fiore al frutto.

I prolungati rialzi delle temperature, accompagnati da lunghi periodi di siccità, hanno provocato un taglio delle disponibilità importante, anche se non ovunque. «È una stagione piena di difficoltà. Raccoglieremo il 70% in meno di prodotto che per la nostra azienda significa un ammanco di 10-15 mila euro – spiega Francesco Monaci titolare dell’omonima azienda di Castel del Piano – La castanicoltura è sempre stata un sostegno importantissima per le famiglie in queste zone; una fonte di reddito certa che ha permesso a generazione dopo generazione di vivere in questi territori e tramandarsi la cultura della cura dei castagneti. Speriamo sia solo un anno storto».

Colpiti anche i più tecnologici

Sono molte le imprese colpite, come l’azienda di Mirko Fazzi (Castel del Piano) che ha portato la castanicoltura amiatina nell’era della meccanizzazione. Dalla raccolta fino alla vagliatura il processo è in gran parte meccanizzato. E anche l’essiccatoio unisce tradizione ed innovazione. Una svolta verso la tecnologia spinta dalla necessità di reperire ogni anno manodopera per raccogliere da terra le castagne. L’azienda di Fazzi è sicuramente tra le aziende castanicole più moderne in circolazione in Toscana. «Sono cresciuto tra questi castagneti ma un’annata così non la ricordo – racconta Fazzi – Manca il prodotto e quel poco che c’è non basta a coprire i costi che sosteniamo ogni anno per tenere questi castagneti come giardini, sempre puliti, sicuri ed ordinati, né tanto meno per rispondere alla crescente domanda».

«Il futuro mi preoccupa – conclude Fazzi – Abbiamo fatto investimenti importanti ed altri vorremo farli per chiudere la filiera e produrre in casa anche la farina».

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