La seconda vita di Stefano Adami. Racconta l'ictus e va al Campiello | MaremmaOggi Skip to content

La seconda vita di Stefano Adami. Racconta l’ictus e va al Campiello

Un racconto pieno di sorprese, scritto come se fosse un fluire parlato, dove trova ampio spazio anche l’ironia. Racconta l’ictus e la sua rinascita. Con “Viva voce” lo scrittore e filosofo Stefano Adami è stato selezionato per il premio Campiello
Stefano Adami con il suo libro

GROSSETO. Con “Viva voce” lo scrittore e filosofo Stefano Adami è stato selezionato per il premio Campiello, uno tra i più prestigiosi riconoscimenti letterari italiani.

Nel libro, un memoir che andrà a comporre una trilogia, Adami racconta della malattia, un ictus, che lo ha colpito nel 2019 e del suo percorso di riabilitazione.

Un racconto pieno di sorprese, scritto come se fosse un fluire parlato, dove trova ampio spazio anche l’ironia. Non mancano poi errori di battitura che si alternano ad una grande cura delle parole: «Ho lasciato tutti gli errori che ho fatto ­ dice Adami – Sono disturbanti ma servivano ad evidenziare la mia posizione mentale».

L’incipit di “Viva voce” riassume perfettamente il percorso affrontato da Adami: «Il pomeriggio del 23 maggio del 2019 sono morto. Questo è quello che è successo dopo».

Adami è scrittore, traduttore e saggista. Ha insegnato Studi Italiani in diverse Università americane e inglesi, tra cui la University of Chicago ed è tra i principali collaboratori della Encyclopedia of Italian Studies della Princeton University. MaremmaOggi lo ha intervistato.

Il Campiello: una sorpresa

Parliamo della candidatura al Campiello, quando è arrivata?

«È arrivata la scorsa settimana, ho ricevuto una telefonata dove mi hanno detto che la candidatura era ufficiale e mi hanno poi mandato una mail di conferma. Il premio lo conosco dal punto di vista del prestigio ma non sapevo bene come funzionasse. Mi hanno detto che è procedura lunga: i vari libri sono candidati da un gruppo di lettori professionisti. Sono già felicissimo, anche perché vuol dire che il libro è arrivato ai lettori e ai critici. Già essere candidato è un po’ una vittoria, anche se il processo sarà lungo e difficile. Non mi aspetto di vincere ma già far parte della corsa mi lusinga molto».

“Viva voce” è scritto in forma diaristica. Il gesto di scrivere, il dedicarsi ad un compito così impegnativo, ha aiutato in qualche modo ad attraversare la malattia?

«L’atto di scrivere è stato fondamentale, mi ha riportato alla vita. Subito dopo l’ictus sono andato in rianimazione ma non appena mi hanno mandato in reparto ho iniziato a scrivere. Mi è servito e dava un senso all’essere bloccato senza potersi alzare. Ed è servito anche a capire cosa fosse successo, capire bene qual era la cosa a cui ero andato incontro»

L’ironia e la lettura immaginata che hanno reso le giornate meno difficili

Il tema è drammatico ma l’ironia è un punto importante.

«Diciamo che anche quando ero in rianimazione avevo dei sogni buffi, comici, avevo delle visioni e si creavano spesso delle situazioni paradossali con i medici e le infermiere. Avevo paura dei medici, temevo che mi volessero ammazzare e loro mi dicevano che ero nel luogo più sicuro del mondo»

Quali sono i riferimenti letterari per “Viva voce”?

«I riferimenti letterari sono diversi. I giorni che vivevo in rianimazioni erano infernali, fatti di grandi dolori e grandi sofferenze. Durante il giorno stavo bene, avevo amici che mi venivano a trovare. La notte però restavo solo e per me erano ore orribili. Allora immaginavo di essere a casa mia che prendevo un libro e leggevo. Anche nel libro lo racconto. Erano letture immaginate, ripassavo mentalmente i testi. In particolare leggevo “Viaggio al termine della notte” di Céline e “Il maestro e Margherita” di Bulgakov. Mi immaginavo di far parte del libro. Nel libro la parte onirica è molto presente. Racconto molti sogni, molte visioni. Poi piano piano racconto anche il ritorno allo Stefano che ero prima. Grazie alle terapie sono riuscito a riprendere consapevolezza totale e venire a patti con quello che è successo. L’ho accettato: sì, mi è successo, ora vado avanti».

Perché ha scelto il titolo “Viva Voce”?

«Pensavo fosse significativo. Quando ho avuto l’ictus molte persone hanno sentito dire che ero morto. C’era questa voce. Allora ho voluto dire che la mia voce è ancora viva. Poi anche la forma diaristica viene richiamata nella viva voce».

C’è continuità con la sua produzione letterario precedente?

«Ho pubblicato altri due romanzi, e credo ci sia continuità con “Viva voce”. Sicuramente la continuità linguistica, ho sempre fatto una grande ricerca. Poi qui ho lasciato tutti gli errori di battitura che ho fatto, che sono anche disturbanti. Ma volevo far vedere la mia posizione mentale. Quello è un espediente. Il libro l’ho scritto giorno dopo giorno nel secondo anno dopo l’ictus».

«La filosofia è stata la mia vita»

Quanto ha influito la sua formazione filosofica dopo la malattia?

«La Formazione filosofica è stata la mia vita, se c’è una cosa che la filosofia ti insegna, specialmente quella antica, è ad accettare la situazione. L’insegnamento principale è il non andare contro alle cose ma seguirne lo scorrere. Platone, Socrete, Eraclito e Marco Aurelio mi stanno aiutando»

«Ho pensato all’eutanasia»

Sta scrivendo qualcosa di nuovo?

«Questo libro fa parte del progetto di una trilogia. Sto scrivendo il libro successivo dove racconto che avrei voluto fare l’eutanasia. Nel libro precedente, invece, racconto la mia situazione prima dell’ictus, quando vivevo con una violinista russa. Una convivenza complicata e difficile che ha avuto un ruolo nella malattia. Adesso sto lavorando a questi due in contemporanea».

 

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