GROSSETO. La Regione toscana ha detto sì alla legge che regola il suicidio assistito. Naturalmente concesso solo quando il paziente soddisfa i requisiti necessari. Ovvero essere affetti da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche reputate intollerabili, essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale, essere pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli e aver espresso un chiaro proposito di suicidio in modo libero e autonomo.
Questa è una vittoria civile per tutti coloro che soffrono a causa di malattie invalidanti, dolorose e senza una cura. Una vittoria che porta soddisfazione in tutta l’associazione Luca Coscioni, che ha raccolto le firme in tutta Italia. Anche a Grosseto.
«Non ci capita spesso di vincere con le nostre battaglie, per questo siamo contentissimi. Abbiamo lavorato sodo per tutto questo: prima di intraprendere la strada regionale, abbiamo provato ogni altra strada, dal Parlamento alla disobbedienza civile – dice Michele Bottoni, dell’associazione Luca Coscioni, uno dei promotori della raccolta di firme in Toscana – E siamo tornati nelle Regioni grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale che ha aperto il dibattito».
La battaglia dell’associazione
L’associazione si batte da tempo per una legge sul suicidio assistito a livello nazionale e molte porte gli sono state chiuse. Talmente tante che la Regione era una delle ultime strade da poter percorrere. «Abbiamo combattuto molto e questa per noi è una vittoria sudata – dice Michele – Sono anche molto soddisfatto del dibattito laico e aperto a tutti che c’è stato nell’aula della Regione: hanno fatto un ottimo lavoro».
Nei prossimi mesi usciranno alcune linee guida da seguire e chi vorrà intraprendere la strada del suicidio assistito saprà a cosa andrà incontro. La Toscana è stata la prima ad accogliere una legge su questo tema e ad aiutare i cittadini che non riescono più a sopportare il dolore e la malattia. «Nel nord Italia le cose non stanno andando molto bene, ma in Toscana la legge è passata – dice Michele – E finalmente a breve ci saranno delle linee guida e non delle procedure standard».
Una vittoria di cui non gioiscono tutti. Certamente non lo fa la consigliera di minoranza del Gruppo misto Rita Bernardini, che ha annunciato la presentazione di un ordine del giorno. «Lo presenterò nel prossimo consiglio comunale, affinché si chieda al Governo di impugnare la legge sul fine vita per incostituzionalità – dice Bernardini – L’introduzione di norme regionali, potrebbe creare una disparità di trattamento tra i cittadini di diverse regioni, ledendo il principio di uguaglianza dall’articolo 3 della Costituzione».
L’inizio della legge
Tutto parte da Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, che è diventato cieco e tetraplegico dopo un incidente in auto. Era un amante della musica e dei viaggi e la vita imprigionato in un letto, per lui, era solo un’agonia. Talmente tanto che più volte ha chiesto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di aiutarlo a porre fine alla sua vita, spiegando la sofferenza e la disperazione che ogni giorno provava.
Il 17 febbraio 2017 la vita di Fabiano è finita. Ha morso il telecomando per somministrarsi il farmaco letale per smettere di vivere. Aveva paura dj Fabo: non della morte, ma di non riuscire a vedere il telecomando per premere il bottone. Dj Fabo è riuscito a porre fine alla sua vita solo dopo che Marco Cappato lo ha accompagnato in Svizzera.
Cappato, il giorno dopo, si è autodenunciato ai carabinieri e ha chiesto il processo immediato. Così ha aperto le porte dei tribunali e quelle della Corte costituzionale al dibattito sul fine vita. La Corte ha sancito l’illegittimità di una parte dell’articolo 580 del codice penale: solo quella che condanna l’aiuto al suicidio quando si tratta malattie irreversibili e sofferenti e quando la scelta di morire è libera e consapevole. Il tutto dopo che una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, ha verificato le condizioni e le modalità di esecuzione.
E oggi grazie a quella sentenza chi soffre, almeno in Toscana, può scegliere se continuare a vivere o meno.
«La sentenza 242/2019 ci ha aperto le porte della legge e non non potevamo far altro che metterci al lavoro – dice Marco – Ci siamo impegnati nelle piazze, nei tribunali e nel Parlamento. E, finalmente, abbiamo vinto una battaglia e ne sono veramente felice».
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Collaboratrice di MaremmaOggi. Amo le bollicine, rigorosamente in metodo classico; il gin e credo che ogni verità meriti di essere raccontata. Non bevo prosecco e non mi piacciono né i prepotenti né le ingiustizie. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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