di Vanna Francesca Bertoncelli
GROSSETO. Nel palazzo del Governo, nel salone degli Specchi, alla presenza della prefetta Paola Berardino si è svolta lunedì 27 gennaio la cerimonia commemorativa del “Giorno della Memoria” con la consegna delle “Medaglie d’Onore” concesse dal Capo dello Stato, ai familiari dei cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra, deceduti dentro e fuori dai campi.
Le medaglie ai tre internati
Il discorso della prefetta è una delicata sintesi di un periodo storico drammatico. «Si tratta, infatti, della costruzione più disumana mai concepita dall’uomo – dice Paola Berardino – Uomini contro l’umanità. Una spaventosa fabbrica di morte. Un unicum, nella storia dell’umanità, che pure è costellata purtroppo, ancora oggi, di stragi, guerre e crudeltà. Una mostruosa costruzione, realizzata nel cuore della civile ed evoluta Europa». Ed un richiamo forte all’attenzione di tutta la società ai giovani e alle loro fragilità.
Pietro Scarpino funzionario addetto alla segreteria particolare del Prefetto ha illustrato le storie di vita di tre internati ricostruite attraverso una certosina ricerca del materiale. La proiezione di filmati d’epoca e delle foto-ritratto di questi tre militari, con il racconto reso vivo da una narrazione particolarmente sentita hanno toccato la sensibilità dei presenti.
Tre le medaglie d’Onore consegnate ai familiari di Irno Biondi, Amedeo Rosselli Del Turco e Alfonso Schisano. Militari che hanno conosciuto l’orrore dei campi di sterminio.
L’orrore e il dolore dietro ai cancelli di Auschwitz-Birkenau-Monowitz
È il 27 gennaio del 1945 quando i soldati dell’Armata Rossa, la 60° Armata del Primo Fronte Ucraino, abbattono i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau-Monowitz in Polonia. Ed è questa la data indicata dall’ONU agli Stati Membri, con la risoluzione 60/7 del 2005, per celebrare il Giorno della Memoria. Per non dimenticare l’orrore ed il dolore.
In questi giorni, i termini Olocausto (sacrificio) e Shoah (catastrofe), usati per lo più come sinonimi, si rincorrono sui media a ricordare all’umanità che, tra il 1939 e il 1945, circa 6 milioni di Ebrei vennero uccisi in modo metodico, scientifico, nei campi di sterminio dall’ideologia nazista del Terzo Reich che aveva l’obiettivo di creare un mondo migliore, con un pensiero unico ed una prassi altrettanto unica.
Una sorta di conformismo in un’applicazione pratica di quel politicamente corretto già ipotizzato da Orwell in un saggio del 1946 sul linguaggio.
Vittime dello sterminio, oltre agli Ebrei, furono anche disabili e zingari, malati di mente e omosessuali, “nemici politici”. Insomma persone ritenute, per qualche motivo, diverse. Non conformi ai canoni dell’ideologia nazista.
La memoria per gli Ebrei
La memoria per gli Ebrei è un quid destinato a documentare un avvenimento per impedire che venga dimenticato. La memoria non è mai fine a se stessa e, anche traendo insegnamento dagli errori, ha anche la funzione pratica di prevenire. Nella Bibbia è sempre finalizzata all’azione trovando applicazione nella legge e nella lunga serie di norme che costituiscono l’identità culturale di quel popolo. Ricordare, rispettare e agire in base a ciò che viene ricordato. Per gli Ebrei, la memoria, è un imperativo: fare memoria delle cose buone che vengono da Dio, cioè il Bene, ma fare anche memoria del Male.
Haim Baharier (Parigi 1947) filosofo e psicanalista ci ricorda che “La parola ‘shalom‘ ha, tre significati in ebraico quali la pace, l’integrità, la reciprocità. Non ha senso parlare di shalom se non c’è il contraccambio. E la parola ‘Hamas’ ha un significato importante in ebraico. Hamas governava il mondo ed era la legalità per la modalità di stare sotto la soglia della punibilità. È uno degli slogan degli estremismi religiosi anche oggi”.
È la lotta atavica al di fuori dello spazio e del tempo tra il Bene e il Male dove il Male è costituito da piccole azioni ingiuste, ripetute in continuazione, nei confronti del prossimo. Azioni sotto la soglia della punibilità. Nel reiterare questo agire sta la causa prima che, secondo la narrazione biblica, ha distrutto l’umanità intera, ai tempi di Noè, con il diluvio universale.
Continua Baharier: “Arriverà un tempo in cui sarà realizzabile lo shalom, la pace. Allora diventerà possibile, doveroso dimenticare. Ma fino ad allora è doveroso avere memoria del Male, per capire la differenza e scegliere il Bene”.
Il Male, un nemico sempre dietro l’uscio, pronto. Terribile e temibile la sua scaltrezza nel fare apparire legale, con la modalità dello stare al di sotto dei limiti della punibilità, il suo agire. Più facile così far ricadere la colpa sugli altri ed avere l’approvazione dei più.
La scure dell’oblio sulla Shoah
Per gli Ebrei che, per millenni hanno perso tutto ciò che fa della gente un popolo, la memoria ed il rito trasformano il passato in un eterno presente. Il passato rivive nel pensiero, nel gesto, nella preghiera, nel tempo scandito, nella musica, nel cibo preparato, consumato e condiviso. La memoria come legame culturale, fortemente identitario.
È questo che ha permesso ad un popolo senza terra la sopravvivenza. Le celebrazioni che consentono ad ogni generazione di Ebrei di rivivere gli accadimenti della loro storia, il non smarrirli nelle nebbie del tempo e di luoghi altri hanno permesso al popolo ebraico di continuare ad esistere anche nella diaspora, relegato nei ghetti, ospite, in qualche modo di altri popoli.
Oggi, sulla Shoah, con tutto il suo carico di agghiacciante tragicità, pesa la scure dell’oblio. A questo tema sono ricorrenti i preoccupati richiami di Ebrei vittime sopravvissute agli orrori dello sterminio nazista e di personalità della cultura ebraica. Due gli ordini di motivi: il venire meno dei testimoni diretti della Shoah e le modalità con le quali viene per lo più proposto il ricordo, dove la ricercatezza formale di uno stile retorico sembra prevalere sui contenuti.
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