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Poggio Rota, il mistero della “Stonehenge” maremmana

A pochi km da Pitigliano, si trova un misterioso cerchio di pietre, noto come Stonehenge di Maremma, a tutt’oggi misterioso. Una possibile datazione indica il 2300 Ac. Gli studi archeoastronomici
I megaliti di Poggio Rota, foto di Antonello Carrucoli.
I megaliti di Poggio Rota, foto di Antonello Carrucoli

PITIGLIANO. Nel territorio di Pitigliano, a circa 8 km in direzione sud-ovest dalla città del tufo, si trova un piccolo rilievo denominato “Poggio Rota” (il quale dà il nome alla località circostante ndr) dove nel 2004 lo studioso locale Giovanni Feo ha portato alla luce un misterioso cerchio di pietre.

E qualcuno ipotizza che sia una Stonehenge maremmana, un sito analogo a quello famosissimo, neolitico, che si trova vicino ad Amesbury nello Wiltshire, Inghilterra, a circa 13 chilometri a nord-ovest di Salisbury.

Il gruppo di grandi pietre a semicerchio

Il piccolo rilievo denominato Poggio Rota ha infatti sulla cima  un enigmatico gruppo di grandi pietre, tufi precisamente, disposte a semicerchio e separate da stretti passaggi. 

Gli interrogativi che sorgono alla vista di questo luogo sono molte, che finalità aveva? Perché le pietre sono state disposte in questo modo? Chi lo ha realizzato?

A queste domande ha provato a rispondere lo scopritore del sito, Giovanni Feo, studioso e appassionato locale scomparso nel 2019, che insieme all’associazione da lui fondata “Tages” e di varie personalità esterne hanno svolto numerose alle indagini sul sito.  

L’ipotesi avanzata è che il sito fosse un osservatorio astronomico, realizzato da antichissimi abitanti delle colline del Fiora, appartenenti alla cultura denominata “cultura di Rinaldone“, una facies (l’insieme dei tratti specifici di una cultura in un dato periodo ndr.) diffusa nel centro Italia tra il 3700 a.C. e il 2100 a.C. proponendo una datazione del sito  attorno al 2300 a.C.

Poggio Rota, la scoperta nel 2004

«La località venne portata alla luce da Giovanni nel 2004 – racconta Antonello Carrucoli, studioso locale e amico di Giovanni – al quale era stata portato all’attenzione questa località. Le intuizioni furono corrette, ricordo ancora lo sbalordimento di Giovanni quando si rese conto della scoperta. Il sito fu prontamente segnalato alla Sovrintendenza».

«Per studiare il sito – prosegue Carrucoli – si formò un gruppo di amici tra cui Aldo Rega, Enrico Calzolari, Alberto Conti, Enrico Sonno, io e Giovanni,  gruppo che nel 2007 darà vita all’associazione Tages».

L’associazione Tages si fece promotrice di varie indagini effettuate sul sito tra cui quella dell‘esperto di archeoastronomia Adriano Gaspani nel 2007, il quale provò la presenza di linee astronomiche di interesse nel sito.

Nel 2009 l’archeologa e docente Nuccia Negroni Catacchio (Università di Milano) svolse dei rilevi sul sito, ipotizzando la realizzazione  dell’osservatorio di Poggio Rota da parte di  una popolazione appartenente alla cultura di Rinaldone.

Lo studio archeoastronomico di Gaspani

Uno degli studi più importanti effettuati sul sito è sicuramente quello effettuato nell’estate del 2007 da Adriano Gaspani. 

Gaspani è stato per 40 anni (oggi in pensione) ricercatore dell’osservatorio astronomico di Brera a Milano, importante struttura afferente all’Istituto nazionale di di astrofisica, ed è esperto di archeastronomia,  ovvero quel tipo di studi interdisciplinari  che si occupano  dello studio e della comprensione delle conoscenze astronomiche diffuse presso i popoli antichi in tutte le loro forme e aspetti e del loro rapporto con la vita sociale, religiosa e rituale all’interno di queste antiche culture.

«Venni contattato dall’associazione – racconta Gaspani – per effettuare uno studio che determinasse se quel sito avesse una rilevanza dal punto di vista astronomico. Così il 9 giugno del 2007 insieme a Giovanni Feo e Antonello Carrucoli,  effettuammo di una sessione di misurazione a Poggio Rota, utilizzando metodi satellitari Gps uniti al rilievo topografico convenzionale».

Poggio Rota, si ipotizza risalente al 2300 Ac

«I risultati furono positivi – prosegue Gaspani – innanzitutto potemmo ipotizzare una possibile datazione del sito, collocandolo in un’epoca grosso modo intorno al 2300 a.C. con 100 anni in più ed in meno di incertezza, dovuta per lo più alla delicatezza di questo tipo di studi e anche ad un certo inevitabile degrado del luogo a causa degli oltre 40 secoli trascorsi da allora».

«Determinammo che tramite questo osservatorio si poteva ogni anno determinare  con precisione i solstizi e di stabilire con precisione almeno due direzioni stellari significative: la prima è quella diretta verso il polo nord celeste e la seconda era connessa al tramonto eliaco di Sirio , cioè l’ultimo giorno di visibilità della stella durante l’anno».

«Questo avveniva, e poteva essere osservato attraverso la fenditura, di prima sera intorno alla terza decade di aprile. I fenomeni eliaci sono parte integrante della ritmicità del cielo, di conseguenza molte antiche culture, presso le quali l’osservazione astronomica fu molto praticata, li inclusero nella lista dei fenomeni celesti ritenuti importanti».

In questo affasciante, quanto enigmatico sito, però non è mai stato effettuato un scavo archeologico, strumento imprescindibile per arrivare a una conoscenza più approfondita sulla natura del sito.

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