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L’opinione: «I medici scarseggiano, si apra a nuove soluzioni»

Il presidente dell’Opi Nicola Draoli: «Bene i servizi territoriali diffusi e diversi, sentinelle dei bisogni della comunità. Più presenza sul territorio e integrazione tra le varie professioni per dare risposte ai cittadini»
Il presidente dell’Opi Nicola Draoli

di Nicola Draoli

Presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche

«Nel mio ruolo, che deve necessariamente avere uno sguardo onnicomprensivo della sanità che esula dalla sola componente pubblica del servizio sanitario regionale, guardo da tempo con interesse alle soluzioni messe in campo da alcuni Comuni della nostra provincia.
Mi riferisco nello specifico al progetto degli ambulatori prettamente infermieristici di Castiglione della Pescaia e più recentemente Puntone e Scarlino.
Seppur organizzati con modalità differenti, ritrovo nel loro operato il tentativo di rispondere ad un problema ormai noto a tutti: la carenza della medicina generale e della ex guardia medica, compresa quella turistica. Attenzione però: non voglio con questo editoriale parlare di sostituzione. Nessuna professione potrà mai sostituire un medico di medicina generale se non un altro medico».

Tanti bisogni da prendere in considerazione

Ma proviamo a fare un ragionamento comunque più ampio.

«Il mondo della salute è un mondo complesso dove siamo tutti più o meno convinti che ad un bisogno manifesto corrisponda una prestazione ovvia e chiara – prosegue Draoli –  Questo è vero solo in parte. Mi spiego meglio: se ho un arto fratturato è del tutto evidente che ho bisogno di un referto radiologico, un intervento ortopedico e una riabilitazione. Ma questa logica, quando parliamo di territorio, di domiciliarità, di una comunità, di bisogni di salute di una popolazione spesso anziana e isolata, a volte non funziona ed i bisogni sono spesso punte di un iceberg sommerso. Sono richieste che sottendono altro. Da sempre la logica di una sanità pubblica non è infatti rispondere silenziosamente alla richiesta di un paziente, come in un negozio di abbigliamento, ma comprendere, capire, indagare quella richiesta e offrire il giusto percorso e la giusta risposta che, sovente, non corrisponde necessariamente all’idea iniziale del paziente. Si scopre così che dietro una richiesta si nascondono bisogni più complessi o diversi, magari di natura sociale, magari scaturiti perché non si conoscono le possibilità che il servizio sanitario può offrire soprattutto in ambito territoriale. Il bisogno sanitario, e lo si sperimenta quotidianamente nei pronto soccorso, è spesso il bisogno manifesto di un problema completamente diverso. Spesso propongo questa provocazione: se chiedo ad un cittadino a cosa serve il 118 o il pronto soccorso riceverò una risposta abbastanza centrata. Ma se chiedo a cosa serve il Pua (Punto Unico di Accesso) quasi sicuramente troverò non conoscenza».

Ambulatori infermieristici: sentinelle per la comunità

«Ecco quindi che, a fianco di prestazioni infermieristiche effettivamente erogate, quelli ambulatori a mio avviso diventano, o possono diventare, punti sentinella in cui dei professionisti possono indirizzare, funzionare da nodo, da interconnessione per la nostra popolazione. Intendiamoci: l’Azienda ha ben chiaro questo concetto e tutta la rete territoriale (infermieri di famiglia e comunità, medico di medicina generale etc, etc) funziona anche su questo presupposto.
Continuiamo però nel dibattito politico a ragionare per silos professionali (il medico fa questo, l’infermiere fa questo, il farmacista fa questo) e per logiche sostitutive di natura invarianti ma è un ragionamento che non funziona più.
Ogni volta che leggo le polemiche sul medico di medicina generale che manca, e le richieste di sostituirlo, sono nel cuore di chi deve dare risposte certe quando l’unica certezza è che i medici di medicina generale non ci sono. Ma quante delle richieste che il cittadino avanza al suo medico di medicina generale hanno a che fare con la disciplina medica? Ci siamo mai fermati a riflettere su questo?

Ambulatori infermieristici: ecco quali compiti potrebbero svolgere

Gli ambulatori infermieristici potrebbero per altro, con una normativa nazionale e regionale che ci metta in linea con il resto d’Europa, essere ancora più performanti. Prevedere accessi ancora più diretti inserendo le prestazioni infermieristiche nella branca assistenziale dei Lea (i livelli essenziali di assistenza) per poterle rendicontare a tutti gli effetti; prevedere la possibilità di prescrizione almeno di ausili e presidi sanitari (l’Italia è uno dei pochi paesi europei dove l’infermiere non prescrive ad esempio delle medicazioni o dei presidi per incontinenza o per la protesica minore, rendendo il vagare del cittadino meno tortuoso. 13 paesi EU ed extra UE– l’Inghilterra fin dal 1992 – prevedono persino la prescrizione farmacologica di farmaci legati alle cronicità che hanno bisogno quindi di un rinnovo prescrittivo e non di una nuova diagnosi). Recentemente anche la nostra Federazione ha dichiarato: «Per abbattere i tempi delle liste d’attesa bisognerebbe ragionare sull’attività ambulatoriale autonoma degli infermieri, soprattutto nelle prime visite capita che a fronte di una richiesta di prestazione specialistica, il cittadino si ritrovi un infermiere a occuparsi di lui». 

Invece ancora oggi in Italia si ragiona per silos professionali molto rigidi che nello scenario attuale non favoriscono la risoluzione dei problemi.

La farmacia dei servizi

Per non sembrare troppo autoreferenziale posso citare la farmacia dei servizi che nasce con questa logica. Durante la pandemia abbiamo visto come farmacisti resi autonomi per la vaccinazione abbiano sgravato il lavoro della medicina generale.

Se questo paese riuscisse a ragionare in questo senso, aprendo i perimetri delle professioni, e disseminando i nostri paesi dell’entroterra con punti di presa in carico innovativi e diversi, riusciremmo a risolvere moltissimi problemi della nostra popolazione. Il limite principale è dato dalla penuria dei professionisti ovviamente, ma ancor più per questo motivo la via di uscita è ragionare su competenze diverse e modelli diversi.

Anzi oserò di più: molti dei servizi di ascolto e presa in carico sui percorsi più adeguati potrebbero essere intercettati da laici (il termine per indicare un non professionista) adeguatamente formati e inseriti nel sistema. La sanità digitale del resto potrà ben contribuire».

 

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