GROSSETO. «Fermatevi un momento, lasciate quello che state facendo. Fate un respiro profondo, per fare in modo che il vostro cuore abbia un battito regolare. Guardate, se potete, qualcosa che appartenga alla natura, se avete una casa fuori città o al mare tanto meglio. Se abitate in centro, può andare bene anche un vaso di fiori. Noterete che questa natura vive. Rappresenta la vita che cresce, la voglia di vivere. Questo significa come è semplice apprezzare la propria vita e quella di chi è vicino.
San Francesco ci ha insegnato a fare del bene al prossimo, perché se vogliamo vivere felici abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a esserlo».
Non sono le parole di un mental di coach o di un trainer, ma quelle di un uomo che ha toccato il fondo ed è riuscito a risalire. Quelle di un uomo che è arrivato negli abissi della vita con un solo respiro, come un apneista, ed è riuscito a tornare in superficie. Dopo anni difficili, di vagabondaggio, di nottate passate sotto alle stelle, insieme ad altri senza casa come lui, in giro per l’Italia.
Un uomo che, arrivato a Grosseto, ha incontrato la sua rinascita grazie a una donna che un giorno, sotto l’arco di Porta Vecchia, anziché fargli l’elemosina, gli ha teso una mano e gli ha donato una prospettiva. Un lavoro, una nuova vita.
Quell’uomo si chiamava Beppe Prevosti, aveva 64 anni e a Grosseto lo conoscevano in tanti. Sfrecciava avanti e indietro per la città sul sellino di una vecchia bicicletta, salutando con garbo e sorrisi tutti quelli che lo incontravano.
Beppe se n’è andato venerdì 27 ottobre, ucciso dalla malattia. E oggi, in tanti, lo piangono.
La fame di soldi e il baratro del gioco
Arrivato a Grosseto nel 2010, Beppe Preposti era un uomo di mezz’età che non vedeva di fronte a sé nessuna prospettiva, se non quella di farsi assistere dalla Caritas e chiedere qualche spicciolo di elemosina.
Bresciano di origini, per anni Beppe aveva lavorato in un’officina meccanica, con un buono stipendio. «Ero single e i soldi mi bastavano per fare una vita normale, per andare in ferie 3 o 4 volte all’anno, per pagare un affitto», aveva raccontato a un’amica conosciuta frequentando la parrocchia di San Francesco in una lunga lettera autobiografica.
Prendeva lo stipendio, aveva la tredicesima e la quattordicesima. Erano i primi anni 2000 e Beppe stava bene: era giovane, non aveva problemi economici. «Poi un amico fornaio mi chiese di aiutarlo – scriveva ancora – e così decisi di accettare: lavoravo dalle 3 del mattino alle 7 lì con lui, poi dalle 8 alle 17 in officina. Avevo uno stipendio doppio, ma volevo sempre più soldi. E per questo mi misi a giocare: lotto, superenalotto, gratta e vinci. Spendevo più di quello che guadagnavo».
Per interrompere questo circolo vizioso, Beppe decise di allontanarsi dalla Lombardia. Arrivò in Umbria, dove visse per strada insieme ad altri senza tetto, lo stesso fece l’anno successivo, quando decise di ripartire e arrivò a Pisa.
La vita minima sotto all’arco di Porta Vecchia
Da Pisa, dopo aver passato una settimana insieme ad altri clochard, Beppe decise di salire di nuovo su un treno per cambiare città. «Volevo andare a Napoli – scriveva – per cercare fortuna, ma il controllore mi sorprese senza biglietto. Mi fece scendere a Grosseto».
Il destino, si sa, si presenta in tanti modi. Spezzo bizzarri.
Arrivato alla stazione, Beppe conobbe un altro ragazzo, un senza tetto di origini svizzere che lo portò alla Caritas. In quelle stanze, con quelle persone, cominciò a riprendere in mano i fili della sua esistenza: spesso si fermava sotto all’arco di Porta Vecchia a chiedere l’elemosina, con un libro in mano e il suo sorriso gentile. Con i suoi modi garbati, difficili da incontrare per strada, Beppe era riuscito a conquistare la fiducia di tanti grossetani, che si fermavano non solo per dargli qualche spicciolo, ma anche per parlare con lui.
Finché un giorno, una donna, gli dette una prospettiva: quella di ricominciare a lavorare. «Sono tornato ad avere la soddisfazione di un nuovo valore personale – scriveva nella sua lettera – di guadagnarmi la vita in modo più umano. A volte mi guardo indietro ringraziando le persone che mi vogliono bene e che mi hanno dato la forza di cambiare».
La nuova vita con la comunità di San Francesco
Beppe, dopo quegli anni passati a fare i conti con il freddo e la fame, ma soprattutto con il dramma che viveva dentro di sé, ha trovato a Grosseto una nuova famiglia. Ha trovato una casa, due anziani da accudire che di tanto in tanto accompagnava a Napoli dai parenti.
E ha trovato la comunità di San Francesco, che lo aveva accolto come si fa con i figli migliori. Quelli che a volte rischiano di perdersi ma che quando ritrovano la strada sanno di poter dare tanto amore a chi più ne ha bisogno. Beppe era così: partecipava alle sacre rappresentazioni, ogni volta che c’era un’iniziativa lui arrivava con una vaschetta di gelato per tutti.
Se c’era un lavoretto da svolgere, lo faceva lui, se c’era bisogno di conforto, le sue braccia erano un porto sicuro per tutti.
Aveva scoperto da poco la malattia, che lo ha strappato a soli 64 anni ai suoi tanti amici. Nei giorni scorsi era stato ricoverato all’ospedale, dove questa mattina è morto. Beppe scriveva poesie, racconti, lettere. E ne aveva scritta una anche per sua madre, quando se n’è andata: «Mentre scrivo queste ultime parole una lacrima scende dai miei occhi, ma è una lacrima piena di felicità. La felicità che mi hai dato tu». La stessa che poi, Beppe aveva cercato di dare a tutti quelli che lo avevano conosciuto.
Il funerale sarà celebrato lunedì 30 ottobre alle 15.30 alla chiesa di San Francesco.
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Redattrice di MaremmaOggi. Da bambina avevo un sogno, quello di soddisfare la mia curiosità. E l'ho realizzato facendo questo lavoro, quello della cronista, sulle pagine di MaremmaOggi Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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