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«Caro sindaco ho abortito. E ti spiego perché»

Dopo le parole di Vivarelli Colonna sulla revisione della legge 194, una grossetana entra a gamba tesa nel dibattito raccontando la propria storia e rivolgendosi direttamente al primo cittadino
In difesa della legge 194
Un manifesto in difesa della legge 194

GROSSETO. La proposta di legge d’iniziativa popolare “Un cuore che batte” che vorrebbe introdurre l’obbligo per il medico di mostrare il feto e farne sentire il battito del cuore alla donna intenzionata ad abortire, ha riaperto il dibattito sulla legge 194, approvata in Italia 45 anni fa.

E il post con cui il sindaco di Grosseto Vivarelli Colonna annuncia la sua firma a favore, ha scatenato la discussione anche in Maremma. 

Da una parte il vessillo della vita ad ogni costo sbandierato dal primo cittadino e dalla destra che lo appoggia. A partire dalla lista civica Vivarelli Colonna sindaco, Lega, Forza Italia e Nuovo millennio. Seguiti dal deputato di FdI Fabrizio Rossi, che si è fatto immortalare mentre firma la proposta e la difende a colpi di «La vita è sacra. Va rispettata e va difesa». 

Dall’altra l’opposizione in Consiglio comunale, le donne dell’Anpi, Azione, il Pd, Grosseto città aperta, uniti in difesa della legge e pronti a dar battaglia. Grosseto città aperta annuncia una contro-campagna dal titolo “Libera di abortire” «attraverso la quale saranno riportate le testimonianze di chi lavora su questo fronte e le proposte per garantire l’effettività del diritto all’aborto in piena consapevolezza e sicurezza», scrive il gruppo politico.

La testimonianza

MaremmaOggi , ha raccolto la testimonianza di una donna, una cinquantenne grossetana che ha chiesto di rimanere anonima, che ha vissuto sulla propria pelle il dramma dell’aborto. E che, tramite il giornale, si rivolge direttamente a Vivarelli Colonna. 

Una storia toccante che viene riportata per intero e che – questo è l’auspicio – deve far riflettere su una questione di estrema delicatezza, che non c’azzecca con l’appartenenza politica, che tocca le corde più intime e profonde di una donna, che attiene esclusivamente all’universo femminile. Della quale, peraltro, gli uomini farebbero meglio a smettere di parlare. E su cui, soprattutto non dovrebbero decidere. 

Eccola:  

Caro sindaco Vivarelli Colonna, questa storia della legge 194 le ha un po’ preso al mano. Lasci stare il diritto di parola sancito dalla Costituzione e bla e bla…ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero…e bla e bla, ma si prenda 5 minuti e legga.

Avevo da poco compiuto 22 anni il giorno che la lineetta del test di gravidanza è diventata rosa. Avevo atteso quei pochi minuti che mi separavano dalla verità, che in cuor mio già sapevo, chiusa in bagno, seduta sulla tazza, con la testa appoggiata alle mani a conca sotto il mento. Il cervello mulinava e ripassava in time lapse la sera di poche settimane prima, alla ricerca di un piccolo appiglio che mi separasse dalla gravidanza indesiderata. Ma non c’era. Così la lineetta rosa non mi ha sorpreso più di tanto, né il test in laboratorio che sanciva definitivamente la mia condizione di giovane incinta, senza un “fidanzato” ufficiale, al terzo anno di università e con tanti progetti per il futuro. 

Mi piacerebbe poterle raccontare che abortire è stata una scelta difficile, che non sapevo cosa fare, che mi sentivo lacerata. No, non lo ero. Io quel bambino semplicemente non lo volevo. Volevo fare la mia vita, volevo scegliere, volevo amare ed essere amata, volevo laurearmi, volevo realizzare i miei sogni.

Eppure, mi creda, quella gravidanza era arrivata da un atto d’amore, da un incontro che sentivo mi avrebbe cambiato la vita. E in effetti così è stato. Perché dopo l’aborto, non sono stata più la stessa persona. E non creda che sia stato per i sensi di colpa, per la vergogna, per la paura di non avere altri figli. Non c’è bisogno di vedere l’embrione e di sentire il cuore che batte. La vita che cresce si sente da primo minuto che comincia a farlo.

Non sono stata più la stessa persona per quello che ha significato abortire. Tralascio i dettagli di ginecologo, appuntamento, trafile varie e fogli con la fatidica sigla IVG. Interruzione volontaria di gravidanza. Il bello è arrivato la mattina del ricovero in day hospital, in una città diversa dalla mia, perché non volevo correre il rischio di incontrare qualcuno che conoscevo. Quasi che abortire fosse uno stigma.

E a giudicare da chi vuole rimettere le mani sulla 194, dalle sue parole e da quelle di chi sostiene la proposta di legge d’iniziativa popolare “Un cuore che batte”, lo è.

Ho salito le scale tremando e ho continuato a tremare per tutto il tempo che ho atteso il mio turno, in un letto, con il camice da sala operatoria, da sola a combattere con i miei fantasmi e le mie paure. Tante paure, ma nemmeno un ripensamento.

Sono passati 30 anni da quel giorno, di cui ricordo ogni minuto. Mi sono laureata, faccio il lavoro che ho scelto, ho un compagno che mi ama. Non penso a quel bimbo che non è stato, perché ho scelto di difendere la mia vita, di riaffermare il mio diritto di scegliere di non essere madre, di mettere al mondo un figlio non desiderato.

Questa legge, perfettibile, migliorabile, è l’unica tutela per chi come me vuole scegliere, ma anche per chi non ha scelta. È civiltà, è libertà. Cercare di indurre le donne a cambiare idea facendo ascoltare il battito cardiaco del feto è la cosa più subdola che si possa mettere in campo. Un ignobile e abominevole ricatto morale che spara il nostro paese indietro di 50 anni.

 

 

 

  

Autore

  • Redattrice di MaremmaOggi. Laurea in Lettere moderne, giornalista dal 1995. Dopo 20 anni di ufficio stampa e altre esperienze nel campo dell’informazione, sono tornata alle "origini" prima sulla carta stampata, poi sulle pagine di MaremmaOggi. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma

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