Primo maggio: il riscatto di Jawad | MaremmaOggi Skip to content

Primo maggio: il riscatto di Jawad

Arrivato in Italia dal Marocco con il miraggio di un lavoro ha rischiato di finire a delinquere: ora lavora in una impresa edile con un contratto a tempo indeterminato
Jawad sul cantiere

GROSSETO. Storie di sfruttamento, morti nei cantieri, diritti negati. Queste purtroppo sono la vicende che raccontano la cronaca del mondo del lavoro. Fortunatamente, la storia di Jawad rappresenta invece il riscatto di un uomo, arrivato 12 anni fa dal Marocco, in cerca di un futuro migliore.

Perché Jawad, che oggi ha 38 anni, è passato dallo sfruttamento a un contratto a tempo indeterminato.

Un miraggio chiamato Italia

Partito nel 2012 da Casablanca, dopo una tappa in Turchia come turista, Jawad ha approfittato dell’appoggio di un amico a Creta per lavorare lì. Nell’isola greca si è dato da fare nelle campagne per circa 3 anni e mezzo, poi la prospettiva di venire in Italia.

«Creta è una bellissima isola, si stava bene, avevo a disposizione anche vitto e alloggio, ma era difficile la regolarizzazione – dice Jawad – Mi invitarono a venire in Italia con la promessa di un lavoro regolare, guadagno e un permesso di soggiorno».

Jawad

Così Jawad è partito alla volta del nostro Paese. Arrivato a Roma, la situazione che trovò era molto diversa da quello che gli avevano raccontato. «Quelli che si dicevano amici, quelli che dicevano che c’era un lavoro per me, non erano che approfittatori e l’unica opportunità di guadagno che mi proposero era quella di delinquere per vivere», ricorda Jawad.

Lasciate da parte le cattive compagnie, Jawad ha provato comunque a guardare avanti. «Mi sono messo a cercare un lavoro e una regolarizzazione vera. Cadere nel baratro è fin troppo facile – racconta – Si deve essere forti e se cadi e non ti rialzi ma continui a strisciare, allora non è vita».

L’arrivo in Maremma

«Dopo alcuni mesi di lavoro, la ditta edile dove ero impiegato è fallita – racconta – sono stato contattato per un lavoro nel Grossetano. Qui ho lavorato circa 6 mesi come muratore per un’azienda che mi forniva vitto e alloggio ma non pagava, dovevo sempre aspettare mesi e mesi per vedere qualche euro. Lavoravo 20 giorni e in busta paga me ne trovavo segnati 3. E non ero l’unico che veniva trattato così».

L’ora del riscatto

Senza proseguire nel prestare il fianco a degli sfruttatori, Jawad ha cercato un nuovo lavoro con l’aiuto della Cgil. «Da settembre 2023 ho un contratto a tempo indeterminato con un’azienda edile di Grosseto. Sono entrato insieme a un italiano, lui però dopo qualche settimana ha lasciato e io sono rimasto – racconta con una punta di orgoglio Jawad – Spero abbia trovato altro. Io sono contento di essere stato accolto così, voglio lavorare e fare bene, ho davvero bisogno di lavoro. Lo faccio anche per mia figlia, che ha 5 anni e che amo con tutto il mio cuore».

Il sogno di rivedere i genitori

Ora, tra i sogni da realizzare c’è quello di riabbracciare i suoi genitori, che non vede da 10 anni. Ancora vivi, nei suoi occhi, i festeggiamenti del 1° maggio in piazza con suo babbo.

«Non torno da tanto in Marocco, cerco sempre di mandare qualche soldo ai miei genitori e sanno tutto quello che è successo. Ma prima di tornare voglio mettere a posto tutto – conclude Jawad – sto aspettando il permesso di soggiorno valido due anni. Mi chiedo ancora come alcuni che vivono nell’illegalità non abbiano problemi con i permessi e io no, ma lo attendo fiducioso. Sto cercando una sistemazione più stabile e appena sarà possibile tornerò a fare visita a casa, li voglio tanto riabbracciare».

Anna Capobussi (Fillea Cgil): «Non è un caso isolato»

Quanto successo a Jawad non è un caso isolato. «Questa storia non è un esempio estremo – dice Anna Capobussi, segretaria Fillea Cgil con delega alla legalità – Ma è quello che capita a tanti lavoratori stranieri che emigrano in cerca di condizioni lavorative e di vita migliori. Un fenomeno che avviene in perfetta similitudine a quanto accadeva agli italiani nel secolo scorso. Ma anche a quello che accade tutt’oggi con i cosiddetti “cervelli in fuga”».

«Per chi arriva in Italia è necessario trovare percorsi di inserimento lavorativo,poiché è condizione necessaria per assicurarli da subito alla legalità  – prosegue Capobussi – l’inserimento lavorativo poi  passa in primo luogo dalla conoscenza della lingua. L’insegnamento della lingua  dovrebbe essere il primo corso da realizzare e garantire a tutti i migranti presenti su suolo italiano. La mancata conoscenza dell’italiano, infatti, favorisce l’avvicinamento di persone che, parlando nella madrelingua del migrante, gli promettono facili guadagni e miraggi».

 

Autore

  • MaremmaOggi

    nasce dall'idea di Guido Fiorini e Francesca Gori Notizie in tempo reale, turismo, economia, sport, enogastronomia, ambiente, informazione MaremmaOggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma

    Visualizza tutti gli articoli

Riproduzione riservata ©

Condividi su

Articoli correlati

Reset password

Inserisci il tuo indirizzo email e ti invieremo un link per cambiare la tua password.

Powered by Estatik